
FRANCOIS RABELAIS (1494 – 1553)
FRANCOIS RABELAIS (1494 – 1553)
GARGANTUA E PANTAGRUELE
Alla composizione di questo libro signoresco non diedi mai né persi magÂgior tempo, o diverso, da quello stabilito per la mia refezione corporale, quello cioè del bere o del mangiare. E questo infatti il tempo più propizio a così alte discipline e a sì profonde speculazioni, come ben sapevano Omero, paragone di tutti i filologi, ed Ennio, padre dei poeti latini, secondo che testiÂmonia Orazio; sebbene un miserabile abbia detto che i suoi carmi sentivano più il vino che l’olio…
L’odore del vino, o quanto è più gustoso, ridente, propiziatorio, celeste e ineffabile che non il fiato d’olio. Si dica pure di me che io spendo più in vino che in olio, che io me ne glonierò quanto Demostene allorché di lui si diceva aver egli speso più in olio che in vino.
Per me, altro non è che onore e vanto l’esser detto e creduto valente cioncatore e buontempone, ed essere per tal fama iI bene accolto in ogni bella brigata di Pantagruelisti. A Damostene fu rinfacciato da uno schizzinoso che le sue orazioni maleolevano come lo stroÂfinaccio nero e fetido di un mercante d’olio.
Dal quinto libro:
Entrammo nel porto del Lanternese. Là , su di un’alta torre, Pantagruele ricoÂnobbe la lanterna della Rochelle che ci aiutò molto bene a vederci chiaro. Vedemmo anche la Lanterna di Pharos, di Nauplia e dell’Acropoli di Atene, sacra a Pallade.
Vicino al porto c’è un piccolo villaggio abitato dai Licnobiti, che sono un popolo che vive al lume di lanterne, così come i nostri fratelli questuanti, lecconacci e golaccioni, vivono di monacelle: gente studiosa, peraltro, e molto dabbene. Qui, anticamente, Demostene aveva lanternato.
Di là fino al palazzo fummo accompagnati da tre Obeliscolieni (obelischi a forma di lanterne), guardie militari del porto, dagli alti berretti a punta come gli Albanesi, ai quali esponemmo le ragioni del nostro peregrinare e il nostro proÂposito, che era di impetrare dalla regina del Lanternese una Lantema per rischiaÂrarci il cammino e guidarci nel nostro viaggio verso l’oracolo della Bottiglia…
Da due Lanterne d’onore – precisamente la Lantema d’Aristofane e la LanÂtema di Cleante (lo stoico) – fummo presentati alla Regina…
Ne fummo ben lieti… La Regina era vestita di cristallo vergine damaschinato con fregi a niello e tempestato di grossi diamanti. Le lanterne del sangue erano vestite alcune di diamanti artificiali, altre di stucchi pesantemente indorati, altre di pietre trasparenti: le rimanenti di corno, di carta, di tela cerata.
I Lanternoni egualmente, secondo il rango e l’antichità della casata.
Nella schiera delle più eleganti una sola ne notai vestita uniformemente di coccio come una brocca, e avendo manifestato il mio stupore per questo, mi fu detto che quelÂla era la lanterna di Epitteto per possedere la quale anticamente erano state spese ben tremila dracme. Considerai con ogni attenzione l’aspetto e l’abbiÂgliamento della Lanterna Polimixa (lampada a più becchi) di Marziale e anÂcon più la Icosimixa (lampada a 20 becchi), consacrata un tempo a Canope dalla figlia di Crizia; né mi sfuggì Ia presenza della Lanterna Pensile del tempio di Apollo Palatino in Tebe e da lì presa e portata a Cuma, città dell’Eolia, da Alessandro il Conquistatore…
Giunta l’ora della cena, la Regina si assise al posto d’onore e dopo di lei le altre Lanterne in ordine di grado e dignita…
Pifferi, buccine e cornamuse suonarono armoniosamente e furono servite le vivande…
Le bevande furono servite in tiragarghe, bel vasellame d’antiquaÂnato, e non bevvero altro che olio, beveraggio assai disgustoso al mio palato, ma che, nel Lanternese, è tenuto per bevanda deifica. Vidi tuttavia una vecÂchia lanterna sdentata, rivestita di pergamena – lanterna caporale di altre lanÂterne giovani – la quale, gridando al dispensiere: lampades nostrae estingunÂtur, se ne inebriò talmente da perdere luce e vita in men che non si dica; e fu spiegato a Pantagruele che spesso, nel Lanternese, morivano a quel modo, anche in pieno Capitolo. –
Terminata la cena, furon levate le mense…
La Regina… ci concesse di scegliere una delle sue Lanterne per farci da guiÂda: quella che più ci piacesse. E noi scegliemmo ed eleggemmo l’amica del grande Pier l’Amico (appassionato di studi classici), che già un tempo avevo conosciuto.
Per chiari segni ella del pari mi riconobbe, e a noi sembrò la più divina, la più idilliaca, la più dotta, la più saggia, la più diserta, la più umana, la più alla mano, la più idonea di ogni altra Lanterna della compagnia a farci da guida.
Ringraziando umilmente la signora Regina, fummo accompagnati alla nostra nave da sette giovani Lanternoni ballerini che già luceva la stella Diana.
ParÂtendoci dal palazzo, udii la voce di un grande Lanternone delle gambe storte il quale diceva che val meglio un solo buonasera di tanti buongiorno quante sono le castagne con cui i bravi cuochi han farcito le oche di Natale dal diluÂvio di Ogigia in poi; volendo significare che non c’è vera baldoria se non di notte, quando sono di scena le Lanterne in compagnia dei loro gentili LanterÂnoni. Queste delizie il sole non può vederle di buon occhio.