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GLI ARABI

 

 

 

Alcuni regni arabi, come quelli dei Sabei e dei Minei risultano risalire al XII sec. a.C.

Passi della Bibbia e iscrizioni assire documentano l’esistenza di tribù arabe carova­niere nell’VIII – IX sec. a.C.

Erodoto dice che gli Arabi sono tra i popoli del mondo i più rispettosi dei patti; che compiono riti agli astri: ad Urania, Alilàt, stélla della sera, e a Dioniso, Orotàlt; che, dopo aver fatto l’amore, gli sposi, ognuno per conto proprio, bruciano sostanze aromatiche e si siedono accanto al fumo.

Dal paese d’Arabia spira un profumo di grande dolcezza.

Diodoro Siculo distingue un’Arabia siticulosa, metà desertica, con capitale Petra (tra Siria ed Egitto) e un’Arabia felice, a sud, evoluta e ricca, anzi opulenta, di ogni specie di erbe aromatiche, di frutti odorosi, di vari animali terrestri e di leggiadri uccelli, di mirra, di incenso, di oro e di pietre preziose.

 

Marco Giulio Filippo, l’Arabo, figlio di uno sceicco, diventò, nel III sec. d.C., im­peratore romano.

Ma è solo nei primi decenni del VII sec. che gli Arabi (da arab = arido o da arabak = occidentale) entrano prepotentemente nella storia del Mediterraneo. Con Arabi si indica­no non solo gli abitanti dell’Arabia, ma tutti gli individui di lingua madre araba, apparte­nente alle lingue semitiche.

Prima di Maometto, erano chiamati, molto genericamente, dai Greci, Sarakenoi, Saraceni, probabilmente dall’ arabo sharkiyum, orientale.

Maometto, discendente da una delle più nobili famiglie arabe, bello di persona, non imparò a leggere e a scrivere e dettò ad un amanuense le sue comunicazioni con il cielo; esse vennero riunite in un libro sacro “Il Corano”, degno di star vicino agli altri libri sacri del Mediterraneo.

Questo grande della storia arrivò, in un modo che genera sorpresa ed ammirazione, a fare di sparsi individui, fieri della loro indipendenza e delle loro tradizioni, non solo una nazione, ma un compatto esercito che, sotto una professione di fede, apparentemente mol­to semplice: “Credo in un solo Dio Allah e Maometto è il suo profeta”, nel nome dell’Islam (che vuol dire sottomissione alla volontà di Dio), riuscì a creare un impero sul Mediterraneo, dall’Asia all’Atlantico, e a dar vita ad una forza religiosa che si sarebbe diffusa in gran parte del mondo.

 

Dice Allah, nel Corano: “Spandemmo acqua in abbondanza poi aprimmo solchi nel terreno e ne facemmo germinare del grano e viti e verdure e ulivi e palme e folti orti e frutta e pascoli”.

Nel proclama del Califfo Ahu Bekr, successore di Maometto, si legge: “Siate mise­ricordiosi, non uccidete uomini vecchi, donne, bambini. Non distruggete alberi da frutta, grano o bestiame. Mantenete la parola data anche di fronte ai nemici”.

Quando nel VII secolo gli Arabi conquistarono l’Africa settentrionale “furono stupiti di vedere che potevano cavalcare da Tripoli a Tangeri sempre protetti dall’ombra degli ulivi”.

Questa grande distesa di ulivi si svolgeva lungo vallate che gli ingegneri romani, dell’epoca di Augusto, erano riusciti a rendere fertilissime mediante dei serbatoi, attraver­so i quali l’acqua, proveniente da dighe, sui fiumi a sud, venire regolata in modo tale da farla defluire, secondo i bisogni, in diversi canali irrigatori.

L’VIII secolo trova gli Arabi conquistatori del Mediterraneo occidentale: Marocco, Tunisia, Spagna; di quest’ultima regione la conquista fu possibile grazie all’aiuto degli Ebrei, là stabilitisi da tempo.

Nell’827 s’impossessarono della Sicilia. Sotto il dominio degli Arabi l’isola ritornò a rifiorire dando vita – grazie ai loro evoluti sistemi agricoli – a lussureggianti “giardini”, a orti, oliveti, frutteti e vigne, secondi solo a quelli della Spagna, noti in tutto il mondo allo­ra conosciuto come degli Eden. Ed era una peculiarità araba considerare un giardino un paradiso terrestre. I botanici arabi erano riusciti ad ottenere, attraverso gli innesti, nuove varietà di piante e lo storico e cultore di agraria Ibn el Awwam – del XII sec. – auspicava che l’olivicoltura fosse curata e custodita da persone per bene, senza vizi, come se gli uli­vi potessero essere danneggiati dal contatto di persone non pure. Questo concetto, molto antico, forse, gli Arabi l’avevano appreso dai Cilici quando li assoggettarono nel 710.

Era difatti una atavica consuetudine cilicia quella di permettere che solo le fanciulle vergini, i ragazzi impuberi e gli adulti non adulteri potessero occuparsi della coltivazione e della raccolta dei frutti dell’ulivo. E questo in onore di Minerva, la casta.

 

La Spagna, che aveva la fortuna di trovarsi sotto un Califfato tollerante verso gli altri culti religiosi, diventò nota per le sue città molto curate e raffinate. Cordova, le cui strade di notte venivano illuminate, aveva bellissimi edifici dai nomi romantici – palazzo dei Fiori, degli Amanti, dei Piaceri – e magnifiche moschee, tra le quali la “moschea Blu”, splendida d’architettura e d’arredamento, dotata di 200 lampadari con 7000 lampade ad olio; l’olio profumato, di riserva, era raccolto nel cavo di campane cristiane appese Ca­povolte al soffitto. (Durant).

Le moschee – generalmente tenute aperte tutto il giorno e con la possibilità di ricovero notturno per i bisognosi – avevano una nicchia più bella delle altre, detta mihrab, che in­dicava la gibla, la direzione della Mecca, la città Santa dell’Islam, sede della pietra nera, della Ka’ba, il “centro del mondo”.

La mihrab era illuminata dalle più artistiche e prezio­se lampade.

La politica dei nobili arabi, i quali, a differenza dei loro simili di cultura occidentale, non disdegnavano affatto d’occuparsi di traffici commerciali, fu determinante nel far rag­giungere agli Arabi la supremazia economica sui popoli costieri del Mediterraneo. Tale predominio rimase incontrastato fino alle Crociate, quando scesero in campo le armate cristiane. Sotto il vessillo della cristianità si celavano però scopi economici: alcune repub­bliche marinare italiane, come Genova e Venezia, furono restie a parteciparvi per i loro buoni rapporti d’affari con gli Arabi, e gli stessi Crociati si dedicarono più volentieri ad imprese materialistiche, se non piratesche, piuttosto che alla proclamata liberazione del Santo Sepolcro.

 

Con le Crociate vennero introdotti in Europa alcuni congegni d’architettura militare araba come “parapetti o gallerie poggianti su supporti e fomiti di feritoie, di calatoi e di botole attraverso i quali frecce, olio bollente o altri tipi di munizioni potevano essere ro­vesciati sul nemico”.

Nel Mediterraneo, il potere dell’impero arabo raggiunse il suo culmine attorno agli anni mille, ma già d’allora cominciarono a manifestarsi i segni del suo declino.

Presso gli Arabi grande importanza aveva la medicina, specialmente nel settore far­macologico: con le erbe e con i preparati galenici, da loro perfezionati, gli Arabi curavano la maggior parte delle malattie. Per sonnifero prescrivevano l’hascisc, che si vendeva ne­gli empori, e per anestesia, altre droghe; le febbri venivano curate con bagni di vapore.

Numerosi erano i bagni pubblici e diffuso l’uso degli oli profumati e afrodisiaci sia tra gli uomini che tra le donne.

Diretti discendenti dei poeti-cantori arabi della bellezza femminile rimasero al sud i trovatori siciliani: questa eredità venne mantenuta al nord dai trovatori provenzali.

Appassionati amanti dei libri – sul finire dell’ ottocento Bagdad aveva più di cento li­brerie, la Spagna musulmana circa 70 biblioteche pubbliche e numerose e ricche erano quelle private in ogni città dell’impero (un medico arabo stimava gli occorressero 400 cammelli per trasferire la sua biblioteca), gli Arabi hanno avuto il gran merito di tra­smetterci gran parte dell’eredità culturale dell’ antico mondo mediterraneo.

 

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