
I LIBICI
Libici (per i Greci Libyes) erano chiamati gli abitanti del vasto territorio nord africano ad occidente dell’Egitto: la Libia; essa risulta abitata fin dal paleolitico.
I Fenici, nel l millennio a.C., vi fondarono le prime colonie ed i primi empori. Anche i Greci, nell’VIII sec. a.C., riuscirono a fondarvi colonie, però solo nella Cirenaica (nome derivante da cirene che vuol dire asfodelo). Era stata la Pizia di Delfi, che considerava la Libia ricca di greggi, e la chiamava l’amabile, ad invogliare i coloni greci a raggiungerla.
Erodoto ci descrive le abitudini delle varie popolazioni libiche, probabilmente nomadi, considerate le più sane del mondo, e Teofrasto riferisce che molti erano gli ulivi in Cirenaica e grande la produzione di olio.
Del resto la Libia, fin dall’alba dei tempi abitata da animali feroci, era stata resa dall’ eroe Ercole “sicura e colta a tal modo che egli poté su e giù portare utili seminagioni e piantamenti fruttiferi, e dappertutto avere vigne ed oliveti”.
I Romani, quando conquistarono l’Africa settentrionale, fecero proprie le nozioni e le esperienze sulle coltivazioni indigene e le perfezionarono creando in Libia non solo un granaio tale da superare quello pur celebre della Sicilia ma il più importante centro di olivicoltura dell’ impero.
Il filo d’oro dell’arte agricola, venuto da così lontani tempi, i Romani ho passarono agli Arabi che, dal VII sec. d.C., ne furono i custodi.
In Seguito, avvenne l’abbandono di queste terre: non per cause naturali ma, peggio, per incuria degli uomini.
Nei nomi berberi – berbero da barbaroi, barbaro – dell’ulivo sono evidenti antiche radici: tas o taz, che richiamano tat, il nome con cui si designava l’ulivo nell’ antico Egitto.
I Tuareg, genti berbere con una propria lingua, chiamano l’ulivo domestico tamahinet; i Cabiri di Algeri, quello innestato tazammourt e quello selvatico tazabboijt (Dc-Candolle).