
GLI EGIZIANI
Gli Egizi, per motivi religiosi, avevano in avversione il mare; nonostante questo essi furono i pionieri della navigazione nel Mediterraneo.
Le loro più antiche barche, non adottate in seguito da altri popoli, erano di terracotta rivestite di papiro, oppure di giunco e papiro intrecciati:
parvula fictilibus solitum dare vela phaselis
et brevibus pictae remis incumbere testae
– sono soliti d’alzare piccole vele su barchette d’argilla
e piegarsi sui corti remi dei loro gusci dipinti –
(Giovenale).
Col tempo, Spinti da necessità commerciali, costruirono svelti e sicuri navigli in legno di cedro, importato dalla Palestina. Diodoro Siculo (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, I – sez. II – c. 6) ci riferisce che il faraone Sesostri ne fece costruire uno, rivestito all’interno in argento e all’esterno in oro, per trasportare sul Nilo il simulacro del dio Osiride o Ammone.
La navigazione si effettuava anche di notte; ci sono pervenute delle raffigurazioni di navi sul cui albero maestro, in alto, erano legate delle anfore adattate a lanterne.
Nella mitologia, Egitto, figlio di Nettuno e di Libia, era un principe giusto, degno di dare il suo nome a tutta la grande vallata del Nilo e allo stesso fiume che, anticamente, secondo Diodoro Siculo, si chiamava Egitto.
Forse originari dell’Etiopia, gli Egizi si consideravano la più antica nazione del mondo e figli del Nilo, generato dal dio Nun (Nun, divinità dell’acqua primordiale, da cui scaturì la creazione del mondo. Secondo gli Egizi era poi rimasta non solo come oceano attorno al mondo, ma come Nilo e acqua piovana), l’oceano primordiale.
I sacerdoti erano i depositari del vasto sapere e della religione che proteggevano gelosamente come scienze segrete; il popolo non poteva decifrare i testi sacri, perché redatti in complicati geroglifici simbolici, leggibili solo dagli iniziati.
Gli Egizi avevano un tale rispetto e culto per gli animali da raffigurare anche gli dèi sotto aspetto animalesco.
Molte erano le feste in onore degli dèi. A Minerva – per gli Egizi la dea del cielo o dell’aria – nella città di Sais “una determinata notte ciascuno accende molte lampade intorno alla propria casa, all’aperto; le lampade sono delle ciotoline piene di sale e di olio, sulla cui superficie galleggia il lucignolo e brucia per, tutta la notte; sicché la festa è detta dei lumi accesi. Gli Egiziani che non si recano a questo raduno aspettano la notte del sacrificio e accendono a loro volta, tutti, le lucerne; in tale modo non solo a Sais si accendono le lucerne, ma nell’intero Egitto”. (Erodoto, II 62)
Ad Apis si sacrificavano dei tori senza alcun pelo nero, o, meglio, di pelo rosso, rufo; ad Iside cui erano sacre le giovenche giovani tori senza alcun difetto ad Ammone Ra il Giove egizio, capre ed arieti; a Pane, uno dei loro più antichi dèi, le pecore; alla Luna e a Bacco, solo nel distretto di Mendes, i porci, con un rito particolare. Il sacrificio avveniva con la luna piena, e si mangiava la vittima alba buna nuova.
Le donne, in processione, seguivano, cantando, un suonatore di flauto e portavano al tempio di Dioniso, delle statuette del dio alte un cubito (50 cm ca.), dotate di un lungo itifallo che facevano oscillare a mezzo di fili. (Erodoto, II 47/48)
Tutte le vittime da immolare agli dèi, venivano prima consacrate versandovi sopra o una miscela di vino e olio, chiamata chitla, o abbondante olio d’oliva. Del resto gli Egizi si servivano solo di quest’olio sia nell’alimentazione sia nelle preparazioni mediche e pur dovendolo importare, lo usavano anche per l’illuminazione in virtù del suo odore gradevole e della scansa fumosità rispetto agli altri oli.
E’ noto che Platone portò in dono agli Egizi probabilmente ai sacerdoti di Eliopoli in riconoscenza per le cognizioni filosofiche da boro apprese dell’olio di oliva dell’Attica la restante parte del carico la vendette per sopperire alle spese del viaggio.
In Egitto l’ulivo domestico era chiamato tat; oltre a crescere soltanto in alcune zone della Tebaide (come ci riferisce Teofrasto), di Abido e del delta del Nilo, vicino ad Alessandria (Strabone), era rappresentato da poche varietà; a noi ne sono state tramandate tre; africana, alexandrina e aegyptia (Macrobio). Plinio, riprendendo Teofrasto, ci dice solo che le olive egiziane, molto polpose, sono povere d’olio – in Aegypto carnosissimis olei exiguum – (Plinio, N.H., XV 15)
Erodoto chiama l’Egitto dono del Nilo e Diodoro dice che i suoi abitanti furono tra i primi a mangiare coricati su dei letti. L’alimentazione comprendeva: pesce, crudo o seccato o conservato sotto sale; volatili, oche, anatre; pane e focacce ottenuti con il lievito di birra – non di farina d’orzo o di frumento (considerata vergognosa) ma di farro o di spelta (olira) o di loto e di diversi formati (ci papiro Harris ne menziona più di 30) molti ortaggi tra cui l’aglio, la divina cipolla e fagioli piselli lenticchie frutta particolarmente i fichi, e anche le pesche, portate dai Persiani.
Il vino era riservato ai ricchi, i poveri bevevano birra d’orzo.
Erodoto ci dice che gli Egiziani non seminavano le fave ne si cibavano di quelle che crescevano spontaneamente perché i sacerdoti le consideravano dei legumi impuri, Invece Diodoro Siculo, ma siamo ormai nel I sec. a. C. e nei dintorni di Alessandria ci dice “lvi nasce la fava, che chiamasi egizia, ed è alimento abbondantissimo”. (Diodoro Siculo, I 9)
Gli Egizi erano considerati, nel mondo antico, la popolazione più sana del mondo, seconda solo alla libica.
C’è da chiedersi il perché dell’alta somma spesa in agli e cipolle, per l’alimentazione degli schiavi addetti alla costruzione delle piramidi, rilevata da Erodoto, cui tale cifra destava stupore. (Erodoto, II 125) Oggi, forse, possiamo spiegarci questo fatto insolito, tanto più perché verificatosi presso un popolo che considerava il cibo in eccesso, in difetto o inadatto causa di malattie e che conosceva le proprietà preventive e curative di molte piante.
Diuretici, antiscorbutici, vermifughi, antidiabetici ed antisettici, aglio e cipolla, non solo non dovevano mancare, ma abbondare, assieme all’olio di oliva, per la loro assunzione e per il loro equilibrio, nella dieta di quei poveri umani sottoposti a dei lavori spesso esiziali.
Durante le opere di costruzione delle piramidi, gli scioperi non mancavano; una volta, non essendo stata distribuita la paga, gli operai si accalcarono attorno al sorvegliante dicendogli: “Siamo stati spinti qui dalla fame e dalla sete; non abbiamo abiti, non abbiamo olio, non abbiamo cibo. Scrivi in proposito al nostro signore, il Faraone”. (A. Erman, Agypten und Agypt, Berlin, 1923, Cit. di Durant a p. 186 del I vol. della “Storia della Civiltà”)
Dopo duemila e più anni desta ancora commozione leggere – nella Biblioteca Storica di Diodoro Siculo la descrizione della vita infame che conducevano gli schiavi addetti alle miniere d’oro in Egitto: incatenati, nudi, senza riposo, in un lavoro massacrante, essi “ad ogni istante, s’augurano, come lor meglio, la morte e l’aspettano come più desiderabile della vita, tanto è acerbo il loro supplizio”.
Costretti a lavorare sottoterra, anche se ammalati o vecchi, essi per rischiarare le tenebre, usano “certe lanterne che portano attaccate sulla fronte”.
Né questo inferno è giustificabile dal fatto che “i re d’Egitto cacciano a quelle miniere i condannati per delitti, i prigionieri di guerra, i miseri oppressi dalla Calunnia, o fatti menare in carcere per impeto d’ira”. (Diodoro Siculo, III 6)
Al di sopra di tutto, in Egitto, vi erano le regole e la disciplina, uguali sia per i cittadini che per i faraoni. Anzi i faraoni subivano, quando morivano, il giudizio del popolo sul comportamento da loro tenuto in vita: essi dovevano aver rispettato i rigidi orari delle mansioni pubbliche ed essere stati parchi nel cibo, non diverso da quello del popolo. Se non meritevole, il popolo poteva negare al faraone le Celebrazioni funebri, fatto molto esecrabile per l’intera nazione; ma se il faraone si era comportato degnamente, tutto il popolo prendeva il lutto; vale a dire che non si celebravano più le feste, né si facevano sacrifici per settantadue giorni, non si beveva vino, né si facevano bagni, ne ci si ungeva e si cantavano lugubri inni in lode del morto, come se fosse mancato un figlio.
Gli Egiziani erano molto puliti e l’olio era considerato un elemento essenziale per l’igiene. Pare fossero i sacerdoti a distribuire gli unguenti al popolo; anche l’esercito aveva la sua razione di oli profumati.
“I sacerdoti si preoccupano moltissimo della salvaguardia della salute: nelle pratiche liturgiche, nelle purificazioni, nelle regole di vita, il principio igienico non è certo una considerazione secondaria rispetto all’ideale di santità. Essi partivano dalla convinzione che non è bello servire né col corpo né tanto meno con l’anima contaminati ed ammalati l’essere che e assolutamente puro, immacolato ed inviolato”. (Plutarco, Iside e Osiride, LXXIX, 383 B)
Circoncisi per ragioni igieniche (come del resto tutti i maschi egiziani), dovevano attenersi a strette osservanze come, tra le altre, essere rasi in tutto il corpo – cosa che praticavano ogni due giorni -, lavarsi due volte al giorno e due volte la notte, portare solo abiti di lino immacolato e sandali di papiro, essere unti d’olio per poter accudire alle statue delle divinità, anche boro doverosamente unte d’oli profumati.
La fronte (di Ammone) splendeva di oli siri…
al suo altare mille sacerdoti rasati s’inchinavano, notte e giorno,
mille lampade inondavano di luce la scolpita dimora del Dio
– with Syrian oils his brows were bright…
ten hundred shaven priests did bow to Ammon‘s altar, day and night,
ten hundred lamps did wave their light through Ammon‘s carven housed. (0. Wilde, The Sphinx, vv. 87 e 105-106)
“Quasi ovunque nel mondo – dice Erodoto – tranne in Egitto e in Grecia, uomini e donne hanno rapporti sessuali dentro aree sacre”. Gli Egiziani invece, oltre ad osservare scrupolosamente il divieto di accoppiarsi con donne all’interno dei santuari, rispettavano la regola di lavarsi, dopo un accoppiamento, prima di entrare nel tempio. (Erodoto, II 64)
Dopo Cheope (2600 a.C. ca.) che si fece costruire la più grande piramide della piana di Giza, regnò Chefren cui succedette Micerino, Menkaure, figlio o nipote di Cheope.
La sua condotta era irreprensibile sia nei riguardi dei sudditi che degli dèi; ma, sciagurato, s’innamorò della figlia. Per assecondare ha sua libidine, forse pensando di ampliare le pratiche d’incesto in uso ira i faraoni, per cui risultava lecito il matrimonio tra fratello e sorella nell’intento di mantenere la purezza del sangue reale, la costrinse ad unirsi a lui; ma lei, per l’onta subita, s’impiccò, lasciando, come ultima volontà, di vedere il sole almeno una volta l’anno.
Allora Micerino fece costruire una vacca di legno, cava, ricoperta interamente d’ oro, e vi inumò la figlia. Erodoto, circa 2000 anni dopo, vide la mummia della sventurata in una sala della reggia di Sais, dove tra profumi di ogni genere e fin dall’epoca degli avvenimenti, vi ardeva costantemente una lampada.
Una volta all’anno, per esaudire l’ultimo desiderio della principessa, il sarcofago zoomorfo veniva portato fuori alla luce del sole.
Le sciagure di Micerino, da lui volute, non si fermarono qui: un oracolo gli predisse solo sei anni di vita.
E allora il faraone “si fece fabbricare un gran numero di lampade: ogni volta che scendeva la notte le accendeva e si abbandonava al bere e alle baldorie, senza smettere né di giorno né di notte, vagando tra i boschi e le paludi e ovunque accertasse l’esistenza di luoghi di divertimento. Voleva così dimostrare che l’oracolo mentiva e aumentarsi da sei a dodici gli anni di vita, trasformando le notti in giorni”. (Erodoto, 11129- 133)
Dall’epoca di Menkaure al 1200 a.C. ca, sono gli Egiziani ad esercitare il controllo sui traffici marittimi della Siria e della Palestina; sulle pareti di antiche tombe Si sono trovate delle raffigurazioni di offerte d’olio al Faraone da parte del popolo d’Israele.
In alcune tombe nei pressi di Tebe, sulle mummie, risalenti a un arco di tempo compreso tra il 1200 e il 600 a.C., sono stati ritrovati dei ramoscelli d’ulivo; sono forse delle offerte al duo Horus, l’Apulunas – Apollo, il Sole egizio?
A causa della atavica remora religiosa degli Egizi nei riguardi del mare, i Fenici strapparono loro, facilmente, il predominio sul Mediterraneo.