
HANS CHRISTIAN ANDERSEN (1805 – 1875)
HANS CHRISTIAN ANDERSEN (1805 – 1875)
IL VECCHIO LAMPIONE
C’era un buon vecchio lampione che era in servizio da molti anni, ma adesso doveva essere licenziato. Era l’ultima sera che stava sul palo a illuminare la strada, e provava un po’ la sensazione di essere una vecchia comparsa di balletto che danza l’ultima sera e sa che domani dovrà restare in soffitta. Il lampione aveva un gran timore del domani, perché doveva comparire per la prima volta in municipio davanti al Consiglio dei “Trentasei”, che avrebbero giudicato se lui era ancora idoneo al servizio, oppure no.
Avrebbero stabilito se mandarlo a illuminare un quartiere di periferia o una fabbrica di campagna; forse l’avrebbero mandato senz’altro in una fonderia, per farlo fondere, e in tal caso si sarebbe potuto fare di lui qualsiasi cosa, ma un dubbio lo tormentava: chissà se allora avrebbe serbato memoria di essere stato un lampione d’una via di città?
Comunque andasse, l’avrebbero separato dalla guardia notturna e da sua moglie, che egli considerava in tutto e per tutto come la sua famiglia. Lui era diventato lampione di strada quando l’altro era stato promosso guardia notturna.
La moglie, a quel tempo, aveva sentimenti aristocratici, e soltanto la sera, se passava davanti al lampione, lo guardava, di giorno mai. Negli ultimi anni invece, da quando tutti e tre erano diventati vecchi, la guardia, la moglie e il lampione, la moglie si era anche presa cura di lui, aveva spolverato la lampada e ci aveva versato l’obio.
I due coniugi erano gente onesta, non avevano mai defraudato il lampione d’una goccia. Era l’ultima sera, quella, che lui trascorreva nella strada; domani sarebbe comparso in municipio; due pensieri questi, molto neri per il lampione, figuriamoci, dunque, che luce poteva fare! Ma anche altri pensieri l’attraversavano; molte eran le cose che aveva veduto, molte le cose su cui aveva fatto luce, forse neppure i “Trentasei” potevano contarne tante; ma lui non lo diceva, era un vecchio lampione per bene e non voleva offendere nessuno, meno che mai le autorità.
Si ricordava di moltissime cose, e di tanto in tanto gli balenava dentro una fiamma, e allora aveva come una sensazione che qualcuno si sarebbe ricordato sempre di lui!
Ora gli era tornato in mente un bel giovane. – Si, tanti anni fa! Arrivò con una lettera, un foglio di carta rosa pallido, molto, molto elegante, con tutto l’orlo d’oro; era una scrittura graziosa, di mano femminile; la lesse due volte, la baciò, poi guardò me con due occhi che dicevano: io sono l’uomo più felice del mondo! Oh! soltanto lui ed io sapevamo cosa c’era scritto nella prima lettera della sua fidanzata. Ricordo anche altri due occhi, strano come si possa saltare da un pensiero all’altro! Qui nella strada ci fu un funerale magnifico: la bella, giovane donna giaceva nella bara, sopra il carro di velluto; c’erano tanti fiori e corone, e tante fiaccole gettavano una luce così forte! ne ero tutto stordito; il marciapiede era pieno di gente, e tutti seguivano il carro, ma quando persi di vista le fiaccole e mi guardai attorno, c’era ancora una persona appoggiata al mio palo, e piangeva; non dimenticherò mai quegli occhi addolorati che guardavano verso di me!
Molti pensieri attraversavano dunque la mente del vecchio lampione, che faceva luce stasera per l’ultima volta. Almeno la sentinella che smonta di guardia, sa chi prenderà il suo posto e può dirgli due parole; ma il bampione non conosceva il suo successore; eppure avrebbe ben potuto dargli qualche suggerimento sul tempo umido e piovoso, fino a quale riga del marciapiede arrivava il chiaro di luna o da che parte soffiava il vento.
Sulla passerella del rigagnolo c’erano tre tipi che s’erano presentati al lampione immaginando che spettasse a lui designare il proprio successore; uno di loro era una testa d’aringa che al buio ribuce, pensava che con lei si sarebbe fatto gran risparmio d’olio se l’avessero issata sul palo, al posto del lampione. Il secondo era un pezzo di legno marcio, che un po’ risplende, in ogni caso sempre più d’un baccalà, come disse lui stesso; era inoltre quel che rimaneva di un albero che aveva formato un tempo l’orgoglio di tutta la foresta. Il terzo era una lucciola; di dove venisse, il bampione non riusciva a immaginare, ma era lì e anche lei risplendeva; tuttavia il legno marcio e la testa d’aringa giurarono che sapeva illuminare soltanto in qualche epoca dell’anno e che perciò non poteva esser presa in considerazione.
Il vecchio lampione disse che nessuno di loro riluceva abbastanza da poter fare da lampione, ma a questo nessuno di loro tre volle credere, e quando seppero che non spettava a lui designare il successore, dissero che si rallegravano molto, perchè lui era troppo decrepito per poter fare la scelta.
In quel momento, da dietro l’angolo della strada arrivò il vento, il quale soffiò nello sfiatatoio del vecchio lampione e gli disse: – Ma è vero quello che sento dire, che domani vai via? è l’ubtima sera questa, che ti incontro? Ah! ma allora ti faccio un regalo!
Ti soffierò nel cranio, in modo che tu non soltanto ricorderai a meraviglia quello che hai ascoltato o veduto, ma sarai anche così lucido da vedere ogni cosa di cui si legge o si parla in presenza tua!
– Ma è troppo bello per me! – disse il vecchio lampione, – ti ringrazio tanto! purché non mi facciano fondere!
– Non accadrà per ora! – disse il vento, – ed ora ravvivo col soffio la tua memoria; se ricevi parecchi regali come questo, avrai una vecchiaia molto piacevole!
– Purché non mi facciano fondere! – disse il lampione, – anche in questo caso mi assicuri che serberò la memoria?
– Vecchio lampione, sii ragionevole! – disse il vento, e soffiò. In quel momento sbucò la luna. – Lei cosa dà? – chiese il vento.
– Io non dò niente! – disse quella, – io sono calante, lo vede, e i lampioni non mi hanno mai fatto luce, mentre io qualche volta ho funzionato al posto loro! – E la luna si ritrasse dietro le nuvole, perché non voleva essere seccata. Allora, proprio sullo sfiatatoio, venne a cadere una goccia d’acqua, era come una goccia di grondaia, ma quella disse che veniva dalle grigie nuvole, e che era un regalo, forse il migliore. – Io penetro in te e tu avrai il potere, quando lo desideri, di arruginirti in una sola notte, così ti sfascerai tutto e diventerai polvere-. Ma questo al lampione parve un brutto regalo, e il vento fu dello stesso parere: – Chi offre di più? chi offre di più? – soffiò più forte che poteva il vento; allora cadde una luminosa stella, che arse in una lunga striscia.
– Cos’è stato? – gridò la testa d’aringa, – non è caduta una stella per caso?
se non sbaglio è andata a finire nel lampione! Ma allora, se perfino personaggi così altolocati cercano un impiego, noi possiamo senz’altro andar a coricarci! – E così fece, e gli altri con lei, ma il vecchio lampione risplendé all’improvviso di una luce stranamente intensa: – E’ stato un regalo splendido! – disse.
– Le stelle chiare, che mi hanno sempre fatto tanto piacere, e che risplendono come io non ho mai saputo risplendere, per quanto fosse stata sempre la mia più alta aspirazione, si sono accorte di me, povero vecchio lampione, e ne hanno mandata giù una a portarmi un regalo, in virtù del quale tutto ciò che vedo o ricordo, potrà esser visto anche da coloro che amo! Solo questa è la vera gioia, poiché fino a quando uno non può farne parte agli altri, la gioia è imperfetta!
– E’ un pensiero che ti fa onore! – disse il vento, – ma tu forse non sai che per questo occorre una candela di cera! Se non ti viene accesa dentro una candela di cera, nessuno degli altri vedrà nulla, nonostante la tua virtù. Le stelle non ci hanno pensato, loro credono che tutto quello che splende contenga almeno una candela di cera. Ma adesso sono stanco! – disse il vento, – voglio andare a coricarmi! – e così fece.
Il giorno dopo, anzi, il giorno dopo lo possiamo saltar via; la sera dopo il vecchio lampione stava in una poltrona, e dove? in casa della vecchia guardia notturna.
Questi aveva chiesto per favore ai “Trentasei” del Consiglio di poter conservare, come premio del lungo e fedele servizio, il vecchio lampione; essi risero quando lo chiese, ma glielo lasciarono, e ora il lampione stava in poltrona, accanto alla stufa, e in verità sembrava cresciuto dopo questi avvenimenti, occupava quasi tutta la poltrona.
I due vecchi erano seduti a tavola e ogni tanto gettavano una occhiata affettuosa al vecchio lampione, l’avrebbero voluto tanto volentieri a tavola con loro.
E’ vero che abitavano in un sottosuolo, due braccia sotto la strada, e bisognava attraversare un’entrata con l’impiantito di selci per arrivare alla stanza; però faceva un bel calduccio, perché avevano messo delle biste di stoffa nelle fessure dell’uscio, e la casa era pulita e ordinata: tendine intorno al letto e alle finestrine, e due strani vasi di fiori sul davanzale: Christian, il marinaio, Ii aveva riportati dalle Indie orientali o occidentali, erano due elefanti d’argilla, a cui mancava la schiena; ma in luogo della schiena crescevano dalla terra che avevan dentro, nell’uno dei bellissimi porri, ed era l’orticello dei due vecchi, nell’altro un bel geranio in fiore, ed era il loro giardinetto.
Alla parete era appeso un grande quadro a colori, rappresentante il “Congresso di Vienna”, dov’erano tutti i re e gli imperatori insieme! Un orobogio a muro, con grandi pendoli, faceva tic tac, sempre troppo in fretta, ma meglio così che troppo adagio, dicevano i vecchi. Mangiarono la loro cena, mentre il vecchio lampione stava, come abbiamo detto, in poltrona accanto alla stufa. Al lampione pareva che il mondo si fosse capovolto. Ma quando Ia guardia notturna lo guardò e cominciò a raccontare della vita che avevano vissuto insieme, tra la pioggia e Ia bruma, nelle chiare, brevi notti di estate, o quando la neve turbinava tanto che era bello rientrare nel sottosuolo, allora tutto tornò al suo posto per il vecchio lampione, che rivedeva ogni cosa come se stesse ancora accadendo; ah! il vento gli aveva soffiato dentro bene!
Erano così svegli e attivi, quei due vecchi; non sciupavano neanche un’ora nelI’ozio; la domenica pomeriggio, prendevano ora un libro ora un altro, quasi sempre di viaggi, e il vecchio leggeva a voce alta dell’Africa, delle grandi foreste, e degli elefanti che circolavano liberi; Ia vecchia prestava grande attenzione e sbirciava ogni tanto i due elefanti di argilla, che erano vasi da fiori. – Me li posso figurare! – diceva.
Abbora il lampione desiderò intensamente che ci fosse in casa una candela di cera e che gliela mettessero dentro, così ella avrebbe visto chiaramente, come vedeva lui, gli alti alberi e i folti rami intricati e gli uomini neri e tutti nudi a cavallo, le mandrie degli ebefanti che con i larghi zoccoli pestavano i cespugli e le canne.
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A che servono tutte le mie virtù, se non c’è una candela di cera! – sospirava il lampione, – non hanno che lumi a olio e candele di sego, ma non servono!
Un giomo comparve nello scantinato un pacchetto intero di candele di cera usate, i mozziconi più Iunghi furono consumati, quelli più piccoli Ia vecchia li adoperò per incerare il filo da cucire; adesso candele di cera ce n’erano, ma a nessuno veniva in mente di metterne una nel lampione.
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Eccomi qui con le mie rare virtù! – disse il lampione. – Ho tutto dentro di me, ma non posso farne parte a loro! Non sanno che potrei tramutare questi muri bianchi nei più smaglianti tappeti, in verdi foreste, in tutto quel che potrebbero desiderare! non lo sanno!
ll lampione, peraltro sempre pulito e lustro, se ne stava in un angolo dove attirava sempre ogni sguardo, e certo la gente non faceva che dire: è un’anticaglia! ma i due vecchi non se ne curavano, erano affezionati al lampione.
Un giorno, era il compleanno della guardia notturna, la vecchia si avvicinò al lampione con uno strano sorriso e disse: – Lo voglio accendere per la sua festa! – e il lampione cigolò nel copricapo di latta, poiché pensò: “I loro occhi adesso vedranno!” ma lei gli mise dentro dell’olio, non la candela di cera, e lui arse per tutta la sera, sapendo ormai che il dono ricevuto dalle stelle, il dono più bello di tutti, sarebbe rimasto un tesoro morto per questa vita. Allora sognò – quando uno ha tali virtù, può anche sognare – che i due vecchi erano morti, e lui era capitato in una fonderia per essere fuso, era pieno d’angoscia come quando doveva presentarsi in municipio al giudizio dei “Trentasei” ma, benché avesse il potere di arrugginirsi tutto e finire in polvere appena lo avesse voluto, pure non lo fece, entrò nella fomace e divenne uno splendido candeliere di ferro, dove si poteva mettere una candela di cera; aveva la forma di un angelo con un mazzetto di fiori e in mezzo al mazzo si metteva la candela di cera. II candeliere fu collocato su una scrivania verde, in una stanza molto accogliente: c’erano tanti libri, bei quadri alle pareti, era la stanza di un poeta; tutto quel che egli pensava e scriveva, prendeva vita intorno a lui, e la stanza si tramutava in profonde foreste oscure, in prati bagnati di sole dove la cicogna passeggiava con estrema gravità, oppure nella tolda di una nave galleggiante sul mare in tempesta.
Quali virtù sono in me! – disse ll vecchio lampione destandosi. – Quasi quasi vorrei esser fuso! Eppure no, non deve accadere finché vivono questi vecchi! Essi mi vogliono bene per quello che rappresento! In fondo sono come un figlio per loro, hanno avuto cura di me, e mi hanno dato l’olio! e io mi trovo bene in questa casa così come ci si trova bene il “Congresso di Vienna”, che è una cosa quanto mai aristocratica.
E da allora ebbe maggior serenità interiore, e se lo meritava, povero, povero vecchio lampione!