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IMPIANTO DELL’OLIVETO

 

 

La sistemazione del terreno scelto per l’impianto degli olivi dovrebbe essere la prima ed indispensabile opera da eseguire.

Negli ambienti caldo-aridi, dove la coltura dell’olivo viene fatta col con­corso dell’irrigazione (alcune zone della Tunisia, ecc.) è necessario sistemare in modo opportuno il terreno per compiere con razionalità tale pratica.

La procedura per l’impianto dell’oliveto, dopo aver scelto la localizzazione, segue gli schemi classici previsti per le colture arboree:

Eliminazione di vegetazione arbustiva o arborea, livellamento, spietramento, scasso.

Nei terreni eccessivamente grossolani è consigliabile limitare lo spietramento ai sassi di grandi dimensioni per evitare un abbassamento del piano di campagna.

 

Lo scasso, che è lavoro fondamentale di preparazione anche per l’im­pianto dell’oliveto, può essere reale o parziale secondo i criteri d’impianto, la natura del terreno e la sua sistemazione, il costo da sopportare, ecc. Lo scasso reale, per l’elevatissima spesa che oggi richiede, è conveniente soltanto se l’olivo si consocia ad altre specie legnose, cosicché tutto il terreno viene più o meno fittamente coperto dagli alberi.

Ma nel caso dell’oliveto specia­lizzato, anche se spesso lo scasso reale è consigliabile dal punto di vista tecnico, in considerazione del costo e della distanza alla quale si pongono le piante viene preferito lo scasso parziale: a fosse nei terreni tendenti al compatto, a buche nei terreni sciolti e profondi oppure in quelli rocciosi, dove non è possibile o conveniente nemmeno l’apertura delle fosse. Per lo scasso è preferibile la lavorazione andante con ripuntatore o con aratro rispetto allo scasso a buche.

 

Approntamento della rete scolante. È necessario nelle zone a clima piovoso o nei terreni poco profondi, a sottosuolo poco od affatto permeabile, lo scasso deve essere completato con la fognatura, approntata nel fondo delle fosse o allacciante le buche. In generale l’investimento del drenaggio tubolare è poco remunerativo in olivicoltura perciò è più conveniente predisporre una sistemazione superficiale realizzando un’adeguata baulatura e una rete di scoline.

Senza vespaiatura la buca che non sia in suolo filtrabile diventa un recipiente di raccolta dell’acqua che vi defluisce dal terreno circostante creando, quindi, condizioni insopportabili all’olivo.

 

L’ampiezza e la profondità dello scasso devono raggiungere il minimo di m 1,20 x 1,20 nelle fosse e di m 1,20-2 x 0,80-1,50 di profondità nelle buche.

Due altri elementi importanti da precisare sono la distanza e il sesto dell’impianto, poiché ad essi è legata, oltre la distanza tra le fosse o tra le buche, la possibilità d’espansione delle chiome dell’olivo.

Gli olivi si possono disporre con un intervallo nell’Italia meridionale di 12-20 m nelle terre fertili e di 8-12 m in quelle più povere ed in pendio; di 8-10 m e di 7-8 m rispettivamente nei terreni migliori ed in quelli più magri dell’Italia centrale e settentrionale.

 

Concimazione di fondo. Si esegue dopo lo scasso e prima della lavorazione complementare sulla base dei risultati dell’analisi chimica. La concimazione fondamentale o d’impianto è il mezzo per migliorare le condizioni fisico-chimiche e biologiche del terreno al fine di accrescerne la fertilità per l’olivo, così come l’accresce per le cotture di altre specie: perciò nell’impianto dell’oliveto non si dovrebbe seguire l’opinione che ritiene l’olivo una pianta rustica, poco esigente e quindi adatta ad essere coltivata con buon esito anche nei terreni più magri senza necessità di adeguate concima­zioni: l’olivo può produrre nelle condizioni meno favorevoli ora ricordate, ma il raccolto riesce scarso e scadente. Quindi è necessario l’impiego dei fertilizzanti perché la pianta fruttifichi con regolarità e bene.

Spesso, poi, anche se la concimazione d’impianto viene fatta, è così scarsa e incompleta che gli effetti ne risultano assai limitati e incerti. Qualche chilogrammo di letame, un chilo di perfosfato e pochi etti di solfato am­monico o calciocianamide per pianta sono insufficienti: occorrono almeno alcune decine di chilogrammi di letame organico (es. 50–100 t di letame ad ettaro) per il suo effetto ammendante, qualora ci sia disponibilità di ammendanti organici a costi accessibili., 2 o 3 chili di perfosfato, mezzo o un chilo di un concime azotato e poco meno di solfato potassico, se il terreno scarseggia di potassio sotto forma assorbibile. La concimazione minerale deve limitarsi al solo apporto dei concimi fosfatici e potassici in quanto l’azoto si perderebbe per dilavamento.

Se la reazione del suolo è acida, l’impiego di quintali 10-15 di calce per ettaro riesce utile.

 

Un problema di particolare importanza che sorge all’impianto dell’oliveto è la scelta del tipo di coltura: specializzata oppure consociata. Non è pos­sibile dettare norme al riguardo per l’estrema varietà dei casi concreti che si presentano e che complicano gli aspetti tecnici ed economici della que­stione.

Generalmente la consociazione, sia con altre piante legnose sia con piante erbacee, non è favorevole all’olivo e talvolta, come nel caso degli oliveti in terreni rocciosi e in forte declivio, non è neppure praticabile, poiché l’olivo rappresenta l’unica coltura possibile.

Però assai spesso l’olivo si consocia poiché prevalgono sulle esigenze tecniche considerazioni economiche o di altra natura: le specie consociate possono procurare un reddito superiore al danno che subisce la resa dell’olivo od assicurano dei prodotti necessari all’agricoltore e che non gli è possibile ottenere altrimenti.

La pianta arborea che più di frequente si trova in coltura con l’olivo è la vite; più di rado, le specie da frutto (il mandorlo, il fico, il carrubo, il fico d’India ed altre ancora).

Tra le erbacee tutte le specie da pieno campo, molte ortensi ed anche alcune piante da fiore ed ornamentali.

Però una tecnica razionate esigerebbe che non si consociassero nell’oliveto le colture erbacee poliennali e quelle annue vegetanti nel periodo primave­rile-estivo, per evitare, nei climi generalmente siccitosi od aridi propri dell’olivo, che si impoveriscano le riserve idriche del terreno.

La consociazione di altre colture all’olivo può anche essere razionalmente limitata al primo periodo di vita dell’oliveto: del resto la consociazione con la stessa vite è temporanea, poiché questa conclude il suo ciclo economico quando l’olivo entra in piena produzione restando solo sul terreno.

Ricordiamo, poi, che talvolta la consociazione può riuscire direttamente dannosa all’olivo, ma indirettamente favorirlo: così è il caso della coltura di foraggere leguminose che accumulano azoto nel terreno e permettono l’alle­vamento di bestiame produttore di lavoro e di letame per l’oliveto. Comunque, dove si attua la coltura consociata con piante erbacee, è opportuno allevare gli olivi in filari alquanto distanziati; dove si consociano specie arboree queste possono essere poste sulla stessa fila degli olivi oppure su file alterne od anche uniformemente sparse nell’oliveto.

 

La scelta delle varietà di olivo ha importanza fondamentale sul buon esito delta coltura.

In Italia nel corso dei secoli si sono venuti attuando l’ambientamento e la selezione, più o meno cosciente, delle varietà coltivate nelle diverse zone, cosicché assai dubbi appaiono i risultati conseguibili da varietà non indigene, importate anche da luoghi con caratteristiche d’ambiente in apparenza simili a quelle della zona in cui si opera. E’ opportuno, invece, preferire qualcuna delle varietà del posto, sempre abbastanza numerose per offrire la possibilità di trovare quella adatta alle esigenze locali.

 

Nella scelta della varietà da coltivare bisogna tenere conto soprattutto dei seguenti caratteri: adattamento al terreno; adattamento al clima (con parti­colare riguardo alla resistenza al freddo nelle zone centro-settentrionali ed in quelle di altitudine elevata); esigenze colturali in rapporto ai sistemi di coltura che potranno essere attuati; resistenza ai parassiti vegetati ed a­nimali più temibili nella zona; produttività e co­stanza di produzione; re­sa in olio; caratteri orga­nolettici dell’olio; even­tuale difficoltà di moli­tura, ecc.

Al fine di otte­nere una produzione me­dia più elevata e costante può riuscire utile la consociazione di due o tre va­rietà diverse nell’oliveto; questa, poi, è necessaria se la varietà prescelta è autosterile.

Ad esempio, il Moraiolo, il Leccino, il Morchiaio, il Piperno, coltivati nell’Italia centrale, sono varietà autosterili; il Morchiaio è una buona impollinatrice delle prime due.

La percentuale più op­portuna di piante impolli­natrici rispetto alle auto­sterili non è ancora stata sperimentalmente definita: ma, secondo Moretti­ni una impollinatrice può bastare a 10-15 piante au­tosterili.

 

Lavori di raffinamento. Si esegue un’aratura a 40 cm per interrare e distribuire i concimi lungo il profilo e una erpicatura per ridurre la zollosità superficiale.

Ai lavori di preparazione seguono quelli di impianto con il tracciamento dei sesti e il picchettamento, la messa a dimora (manuale o con trapiantatrici semiautomatiche), l’impianto dei tutori.

Il sesto d’impianto dipende dalle condizioni pedoclimatiche, dalla disponibilità irrigua, dalle caratteristiche della cultivar, dalla forma d’allevamento e dalla tecnica colturale.

In condizioni ordinarie nei nuovi impianti si adottano sesti compresi fra 5×5 m e 7×7 m in coltura irrigua e tra 8×8 m e 10×10 m in asciutto.

Sesti molto stretti sono sconsigliabili per l’eccessivo ombreggiamento lungo la fila e per la difficoltà di meccanizzazione.

Con olivi allevati a vaso policonico o a monocono sono consigliabili sesti di 5×7 m o 6×7 m secondo la vigoria della cultivar.

Qualora si preveda la raccolta meccanica integrale con scuotiraccoglitrice è opportuno adottare sesti in quadrato di 7×7 m o 8×8 m per consentire una facile manovra della macchina.

La messa a dimora si esegue dall’autunno all’inizio della primavera effettuando una buca con la trivella, disponendo sul fondo del materiale drenante e una piccola quantità di concime ternario, si mette la pianta, con il colletto leggermente più basso rispetto al livello del terreno e il tutore, infine si colmano gli spazi vuoti e si irriga. È sconsigliato eseguire l’impianto in primavera inoltrata per evitare eccessive fallanze.

La scelta delle piante ha importanza sia economica sia tecnica.

Le piante ottenute da talea sono più economiche ma tendono a sviluppare un apparato radicale superficiale e potrebbero subire stress idrici nel primo anno d’impianto.

Quelle ottenute da semenzali innestati sono più resistenti ma hanno prezzi più alti. In merito allo sviluppo sono migliori le piante rivestite uniformemente di ramificazioni secondarie perché non necessitano di interventi di potatura correttiva, e permettono di anticipare l’entrata in produzione di 1–2 anni.

Da tenere presente comunque che le piante autoradicate da talea sono consigliate in tutte le zone in cui l’olivo è soggetto a gelate, perché nel caso si renda necessario un taglio rigenerativo al piede delle piante, i polloni emergenti dalla ceppaia appartengono alla varietà e non al portinnesto.

 

II trasporto dei piantoni di olivo dal vivaio al luogo dell’impianto viene fatto, quando questo non sia vicino, con opportune cautele. Gli olivi si tolgono dal vivaio con o senza pane di terra: in questo secondo caso, che è il più frequente, le grosse radici, quelle secondarie e le capillari si raccolgono in un rivestimento di borracina; la chioma si taglia in modo energico e si protegge insieme al fusto con paglia.

La spedizione è fatta in ceste. In tal modo gli olivi sopportano parecchi giorni di viaggio.

Al ricevimento, i piantoni si liberano soltanto dalla paglia e si bagna la borracina intorno alle radici.

Le ceste vengono poste in un luogo un po’ arieggiato e non molto freddo.

Se il trapianto ritardasse, occorre rinfrescare di quando in quando la chioma e la borracina con acqua.

Per il trapianto a dimora l’epoca più opportuna è l’autunno.

Se però il clima del posto è freddo e la località poco ri­parata è preferibile attendere la fine dell’inverno.

Occorre preparare la chioma dell’oli­vo facendo la potatura di trapianto.

Se i piantoni sono giunti dal vivaio già im­palcati, i tagli si limiteranno all’asporta­zione dei rametti eventualmente rotti o rovinati nel corso del trasporto e ad un accorciamento delle ramificazioni sulle branche. Se, invece, l’olivo non è impal­cato, bisogna recidere il fusto all’altezza stabilita per l‘imbrancatura, sopra i ra­metti scelti per formare le future bran­che.

Tali rametti non si toccano con le forbici o, al più, si accorciano sopra una foglia posta all’esterno, per assicurare il prolungamento della branca. I rametti laterali si taglieranno più o meno per proporzionare la chioma alle radici.

Queste, a meno che il trasporto sia stato fatto con il pane di terra, vanno accor­ciate quanto basta per rinfrescare il taglio.

Alla messa a dimora fanno seguito gli allestimenti accessori, in particolare la rete irrigua e l’eventuale palificazione per sospendere le ali gocciolanti.

Su spazi aperti e battuti frequentemente da venti dei quadranti settentrionali (maestrale, tramontana,grecale) è indispensabile predisporre un frangivento allineato perpendicolarmente alla direzione del vento dominante.

L’orientamento dei filari, in caso di sesto a rettangolo, deve tener conto dell’esigenza d’illuminazione delle chiome soprattutto alle latitudini più alte dell’areale di coltivazione (Italia centrale e Liguria): l’orientamento migliore è quello nord-sud, tuttavia nei terreni con pendenza superiore al 5–10% ha la priorità la necessità di prevenire l’erosione del terreno orientando i filari a girapoggio o a cavalcapoggio. L’orientamento nord-sud in collina si può pertanto rispettare solo nei versanti esposti a est o a ovest.

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