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LETTERATURA GRECA

 

 

OMERO (IX sec. a.C.)

ILIADE

II                                Gli ameni

campi cui l’onda titaresia irriga,

rivo gentil che nel Penèo devolve

le sue bell’acque, né però le mesce

con gli argentei penèi, ma vi galleggia

come liquida oliva.

(Omero, Iliade, Milano, 1957, II vv. 1004-1009. Dal monte Titano o Titanio, in Tassaglia, prendeva nome il fiume Titaresio che si gettava nel flume Penèo senza mescolarvi le acque. Cfr. Lucano VI v. 376)

 

X                                 Ulisse e Diomede, odorosi

di pingue oliva si sedeano a mensa

pieni i nappi vuotando, ed a Minerva

libando di Lièo l’aimo licore.

(Ibid., X 714-717. Lièo, che scaccia gli affanni; altro nome di Bacco)

 

XIV                              Giunone al regale

suo talamo s’ avvia…

e chiusa la lucente soglia,

con ambrosio licor tutto si terse

pria l’amabile corpo, e d’oleosa

essenza l’irrigò.

(Ibid., XIV vv. 200-208)

 

XVII                             Qual d’ulivo gentil pianta nudrita

in lieto d’acque solitario loco

bella sorge e frondosa: il molle fiato

l’accarezza dell’ aure, e mentre tutta

del suo candido fiore si riveste,

un improvviso turbine la schianta

dell’ime barbe, e la distende a terra.

(Ibid.. XVII vv. 6 1-67)

 

XVIII                            Poiché nel cavo

rame la linfa al suo bollor pervenne,

diêrsi il corpo di Patroclo a lavar:

l’unser di pingue

felice oliva.

(Ibid., XVIII vv. 479-482)

 

XXIII                            Il Pelide pose

colle bocche sul feretro inclinate

due di miele e d’unguento urne ricolme…

e disse:

“I miei cavalli, miseri perduto

hanno il lor forte condottiero e mite,

che lavarne solea le belle chiome

alla chiara corrente, ed irrorarle

di liquid’olio rilucente”.

(Ibid., XXIII vv. 226-379)

 

ODISSEA

II                                 Telemaco era disceso

nella stanza segreta, ove d’Ulisse

era il bronzo adunato e il rame e l’oro

e molto olio odoroso e in ben costrutte

anche le vesti. Numerosi dogli… ripieni

di vermiglio licor, pretto, squisito,

già da lunga stagion riposto in serbo

per l’eroe, che pur sempre nel suo tetto

riveder si sperava.

(Omero, Odissea, Firenze, 1927, II vv. 400-409)

 

IV                                 Telemaco e Pisistrato

discesero nel bagno, e dalle fanti

lavati, e d’odoroso olio cospersi,

le tuniche indossaro e su le scranne

sedeansi al fianco del figliuol d’Atreo (Menelao).

(Ibid., X 714-717. Lièo, che scaccia gli affanni; altro nome di Bacco)

Poi ch’ebbe nelle tazze il succo infuso

la vaga donna, Elena, così tolse a dire:…

“Il grande Ulisse.

nelle dardanie mura insinuossi;

un mendico parea… ma poiché l’ebbi

lavato ed unto d’odoroso ulivo,

e gl’indossai le vesti, gli promisi

con giuramento, che a nessun de’ Teucri palesato l’avrei”.

(Ibid., IV vv. 300-3 10)

 

 

V                                   Ulisse al bosco s’avvia, che non lontano

dall’acqua sopra un colle si stendea.

E qui nel vano entrò di due frondosi

ulivi, di cui l’uno era selvaggio

e domestico l’altro, insiem cresciuti,

e sì tra loro avviticchiati e folti,

che raggio mai non vi poté di sole,

né pioggia, né di vento umido soffio;

e un letto s’apprestò d’aride foglie.

(Ibid., V vv. 558-566)

 

VI                                 La genitrice (la regina Arete) alla figlia,

      Nausica, già sul carro ascesa,

      porse, in ampolla d’oro, il liquid’olio,

      onde essa dopo il bagno con le ancelle

      se n’ungesse le membra.

      (Ibid., VI vv. 100-103)

 

E irrorate di pingue olio le membra,

sedeansi in cerchio su la riva a mensa,

aspettando che il sole coi suoi raggi

asciugasse le vesti.

 (Ibid., VIvv. 124-127)

 

Di Nausica le donzelle

ad un seno del flume il divo Ulisse

guidano, e su la riva deponendo

una tunica e un manto, di fresc’olio

gli porgono un’ampolla, e gli fan cenno

che discenda nell’acqua e vi si lavi…

I larghi omeri e il petto si lavò nella corrente

il travagliato Ulisse… il corpo

s’unse con l’olio e indossò

le vesti che la vergine figlia d’Alcinoo

gli avea donate.

(Ibid., VI vv. 270-291)

 

Nei famosi orti di Alcinoo, re dei Feaci:

VII                                crescon gli alberi e grandi: il melograno,

il pero, il fico, il verdeggiante ulivo.

(Ibid.,VIIvv.142-143)

 

VIII                               Ulisse dalle ancelle

lavato e d’odoroso olio perfuso,

e le vesti indossate, uscí dal bagno

e alla sala n’andò. Presso la soglia

stava Nausica a contemplar l’eroe.

(Ibid., VIII vv. 547-551)

 

Racconta Ulisse al re dei Feaci:

IX                                  “Giacea presso una stalla il verde tronco

d’un ulivo a seccar, che avea da poco,

per fame una sua clava poderosa,

tagliato il mostro Polifemo, e l’albero parea

  d’una nave onerania a venti remi,

  che va carca solcando il mare ondoso:

  così lungo era il tronco e così grosso!

  Io ne recisi un pezzo di sei palmi,

  e a rimondar lo diedi ai fidi amici;

  io stesso poscia n’aguzzai la punta

  e ad infuocar la posi in su le brage,

  donde tratto, il celai sotto il letame

  che ingombrava lo speco. Io volli alfine

  che a sorte si traessero i compagni,

  che dovean meco la infuocata trave

  nella pupilla conficcar del mostro”.

  (Ibid., IX vv. 378-393.)

 

                                      Ulisse continua a raccontare:

X                                   “Sul capo spargendomi e sul dorso

  la chiara e tepid’onda, con le spugne

  mi lavò Ia donzella (della maga Circe); ed io sentia

  a poco a poco dalle membra uscirmi

  la stanchezza… m’unse ella quindi con fragrante oliva”.

  (Ibid., X vv. 435-440)

  Con molta cura avea la Ninfa intanto

  lavati e sparsi d’odoroso ulivo

  i redenti compagni, e di leggiadre vesti coperti.

  (Ibid., X vv. 53 1-534)

 

Ulisse negli Inferi:

XI                                  “Tantalo vid’io macero e scarno.

Ardea di sete, né mai bere potea…

Alberi eccelsi

gli stendean su la testa i verdi rami

carchi di frutta, e pere e melagrane

e pomi rubicondi e dolci ulive

e pingui fichi; ma non tosto il veglio

sporge la man bramosa ad afferrarle,

ecco un buffo di vento al ciel le sbalza”.

(Ibid., XI vv. 678-689)

 

Minerva:

XIII                               “Ora mostrarti

vo’ d’Itaca la terra…

è questo il porto, e quello è il frondeggiante,

antico ulivo, che vi cresce in fondo”.

(Ibid., XIII vv. 404-408)

 

XVII                              Pireo e Telemaco dal bagno usciti,

le membra d’ulivo confortate,

indossate le tuniche, vicino

l’uno all’altro sedea.

(Ibid., XVII vv. 106-109)

 

Penelope:

XIX                               “Donzelle, lavate i piedi all’ospite…

entri in un bagno, e d’odoroso ulivo

 l’ungete”.

 (Ibid., XIX vv. 385-391)

 

Come Ulisse

fu lavato e di pingue olio cosperso,

di nuovo s’apprestò col seggio al foco

per riscaldarsi, e con la veste ascose

la cicatrice

(che la fida Euriclea aveva riconosciuta).

(Ibid., XIX vv. 612-6 16)

 

XX                                Ulisse gioiva: la voce

d’una femmina udì, che in un vicino

casolar macinava il grano ai Proci.

Dodici donne con assidua cura

frangean sotto alle mole il grano, e l’olio

dalle ulive spremean, fonti di vita

e di forza ai mortali:… “O sommo

di Saturno figliuolo, il voto appaga

d’una meschina: ah! sia l’ultima cena

che imbandiscono i Proci, i crudi Proci”.

(Ibid., XX vv. 132-150)

 

XXIII                             Eurinome, la saggia

dispensiera, lavò nel bagno Ulisse,

e d’olio l’unse, lo vestI di vaga

tunica e vago manto…

Tutto di grazia e di beltà l’avea

Pallade circondato, ed ei dal bagno

uscia pari ad un Nume.

(Ibid., XXIII vv. 178-194)

 

Penelope, per assicurarsi che l‘eroe sia veramente Ulisse, dice:

“Orsù, nutrice,

fuor della stanza maritale il letto

porta, ch’ei stesso un dì costrusse”…

Risponde l’eroe:

“…Era un ulivo nel cortil cresciuto,

che dense avea le frondi e ritto il tronco

a guisa di colonna. Intorno intomo

vi disegnai la marital mia stanza;

le pareti n’alzai, vi posi il tetto,

e con solide imposte ne difesi l’entrata.

De’ suoi rami indi spogliando

l’odorifera pianta, ch’io recisa

avea dal ceppo, tutta la piallai,

e drizzandola a squadra, il nostro letto

poscia ne feci. Il letto col trivello

lo forai, saldamente al grosso ceppo

l’unii con chiodi, lo pulii, con arte

ne intarsiai d’argento e d’oro e bianco

avorio i lati, e alfin d’una vermiglia

bovina pelle tutto il ricopersi.

Io tale il letto marital lasciai

partendo; ma se ancora esso vi resti,

o se, di là sferrandolo, qualcuno

l’abbia altrove portato, io, donna, ignoro”…

Penelope pallida, tremante,

gli mosse incontro, gli gettò Ie braccia

intorno al collo, e lagrimando il viso

e gli occhi gli baciò.

(Ibid., XXIII vv. 209-248)

 

 

XXIV      Laerte una sudicia

vile e logora tunica indossava,

ruvidi guanti e ruvidi schinieri

di vecchio cuoio…

(Ibid., XXIV vv. 286-309)

 

Ulisse a lui appressandosi, dice:

“Esser tu devi un buon cultore, o vecchio.

Pianta non veggo, non ulivo o melo

o fico o vite, né di terra un palmo,

che la perizia di tua man non mostri”.

 

Verso il caro padre

alfin s’avanza, gli si getta al collo e più volte lo bacia.

(Ibid., XXIV vv. 388-390)

 

La fantesca lavò l’eroe Laerte,

l’unse d’olio odoroso, ed una vaga tunica gl’indossò…

Poiché dal bagno

somigliante ad un Nume uscir lo vide,

meravigliato gli si fece incontro

così dicendo Ulisse: “O padre, un Dio,

per certo un Dio, più bello e maestoso

oggi ti rende”.

(Ibid., XXIV vv. 438-448)

 

INNI OMERICI

 

A ESTIA

Estia, tu che il santuario di Apollo

arciere guardi in Pilo divina,

sempre dal tuo capo chiomato fluisce

umore d’ulivo. Vieni in questa mia casa,

vieni serena nell’animo insieme con Zeus

sapiente, e la tua grazia segua il mio canto.

(Inni Omerici, Firenze, 1990, XXIV, p.93)

 

ESIODO (VIII – VII sec. a.C.)

LE OPERE E I GIORNI

La violenza di Borea, che incurva il vecchio, non penetra nelle pecore che hanno lana abbondante, né tocca la morbida vergine la quale siede entro la casa, vicino alla cara sua madre, ancora ignara delle lusinghe dell’aurea Afrodite e, lavato il morbido corpo e aspersolo di olio abbondante, dorme in fondo alla casa, nella notte invernale.

(Esiodo, Le Opere e i Giorni, Milano, 1986, I 3 vv. 5 19-523, p.136)

 

ALCEO DI MITILENE (640 ca. – 560 ca. a.C.)

INVITO A BERE

(Orfeo, Firenze, 1950, vv. 1-2, p.61)

Perché aspettare le lucerne? Il giorno

sta per finire. Sù beviamo!                                  (Gilda Musa)

…………

Su questo capo che molto ha sofferto,

sul mio petto canuto, versa, versa l’unguento.

(Lirici Greci, Milano 1983, p.213)

 

SAFFO DI LESBO (fine VII sec. – prima metà VI sec. a.C.)

VORREI VERAMENTE ESSERE MORTA

Ma se tu dimenticherai

(e tu dimentichi!) io voglio ricordare

i nostri celesti patimenti:…

e l’olio da re, forte di fiori,

che la tua mano lisciava

sulla lucida pelle.                                       (Salvatore Quasimodo)

(Lirici Greci, Milano 1983, p.213)

 

ANACREONTE DI TEOS (570 ca. – 485 ca a.C.)

VENTO

Vibra il cupo fogliame

del lauro e del verde pallido ulivo.

(S.Quasimodo, Antologia, Milano, 1976, p.148)

 

ESCHILO (525- 456a.C.),

Dice di lui Aristofane:

“0 tu che per primo tra i Greci hai costruito parole come torri”.

 

I PERSIANI

Regina           Voglio offrire al padre di Serse bevande benigne, di quelle che fanno melliflui i morti: luminoso latte soave… miele impastato di luce… li­quida stilla di tersa sorgente… allegro splendore d’uva matura… aro­matico frutto rossigno d’ulivo, vivido eterno rigoglio di fronde, e trecce di fiori, famiglia di cosmica madre, di Terra.

(Eschilo, I Persiani, Milano, 1982, p.70)

 

AGAMENNONE

Clitemnestra            Se tu mesci olio e aceto in un solo vaso,

separati ostilmente li diresti:

così le avverse voci della duplice

sorte di vinti e vincitori.

             Coro           Ecco, un araldo viene dalla spiaggia,

incoronato di rami d’ulivo.

(Eschilo, L’Orestea, “Agamennone”, Milano, 1950, pp.34-40)

 

LE COEFORE

             Oreste        Guardatemi: con questo ramoscello d’ulivo

                               di lana incoronato, or me n’andrò

alla sacra dimora, ch’è nel centro

del mondo ed è terra di Lossia (Apollo) dove

dicon risplenda eternamente il fuoco.

(Ibid., “Le Coefore”, pp.146-147)

 

EUMENIDI

(Ibid., “Eumenidi”, p.152)

La Pizia                     Mi trascinavo verso il penetrale

carico di ghirlande, a un tratto scorgo,

vicino all’umbelico, un uomo (Oreste),

                                odiato dai numi, fermo, supplice, grondanti

sangue Ie mani, ed una spada in pugno

sguainata di fresco, e un lungo ramo

d’ulivo con gran cura avvolto in lana propiziatrice.

(Umbelico: la pietra sacra a forma di cono smussato, che segnava il “centro del mondo”, nel santuario di Apollo a Delfi. Essa, pur così grezza, evocava la presenza divina, ancor più delle seriori bellissime statue del dio)

 

PINDARO (518 – 438 a.C.)

PER PSAUMIS DI CAMARINA Vincitore col carro tirato da mule

Figlio di Kronós che il peso dell’Etna

ventoso premi su Typhòs tremendo

di cento teste,

accogli il corteo olimpionico,

che grazie alle Chárites è

durevole luce di imprese possenti.

Per il carro di Psaùmis viene,

che cinto d’ulivo pisatide anela a levare

gloria su Camarina (città della costa sicula meridionale).

(Pindaro, Olimpiche, Milano, 1981, IV vv. 6-12, p.70)

 

PER HAGESIDAMOS DI LOCRI EPIZEFIRI

Vincitore nella gara di pugilato tra giovanetti

Hagesìdamos: per il tuo pugilato

un dolce ornamento di canti porrò risonante

sulla corona di aureo ulivo,

onorando la stirpe dei Locri Zephyrioi (Locri occidentali – Epizefiri).

(Ibid., XI, vv. 12-15, p.180)

 

PER TEEO D’ARGO Vincitore nei ludi ginnici

Alle Muse egli offerse, che cura ne avessero, i serti:

tre sulle porte del ponto (all’Istmo),

tre nella sacra pianura, pei giochi d’Adrasto ne ottenne (a Nemca)…

Cose ben note a lui canto, e a chi si cimenta pei vertici

sommi di gloria: ebbe Pisa la regola somma d’Alcide (Ercole).

Ma dei preludi le voci dolcissime lui nelle feste

sacre d’Atene, tre volte

celebre resero. E dentro la creta riarsa dal fuoco,

d’Era alla nobile gente giungea dell’ulivo Ia bacca

nel grembo a dedàlei vasi.

(Esiodo, Pindaro, Teocrito, Eronda, Bologna, 1969. Ode Nemea X, vv. 34-36, 40-46, P.450)

 

SOFOCLE (497 o 496 – 406 a.C.)

EDIPO A COLONO

Antigone:               Questo è un luogo (il bosco delle Eumenidi a Colono)

                              sacro, s’io non m’inganno, ricoperto

di lauri, viti, ulivi.

Coro (ad Edipo):     Sacrifica alle dee…

Mesci i libami volto ad oriente.

Edipo:                    Indi? Fatti i libami…

Coro:                      Tre volte nove, a destra ed a sinistra,

rami d’ulivo poni, e così prega (le dee Eumenidi):…

Dirai loro che accolgano il supplice (Edipo).

Coro:                      (descrivendo le bellezze della biancheggiante Colono)

lvi è un albero che in Asia

non ho udito mai fiorisse

e nemmeno nella grande

dorica isola di Pelope,

albero invitto che da sé rinasce,

terror delle lance nemiche;

in questa terra più che altrove alligna,

vita dei figli nostri: è il glauco ulivo.

Non avverrà che un condottier nemico,

giovine o d’anni carco, lo distrugga,

che Zeus Morio sempre vigile

lo contempla senza posa

e l’occhicerulea Athena.

(Sofocle, Edipo a Colono, Milano, 1951, pp. 104, 128-129, 141-142)

 

EURIPIDE (480 ca. – 406 ca. a.C.)

CANTO DI NOSTALGIA DELLE FANCIULLE ELLENICHE

Ché in questi lamenti nostalgici

le feste rimpiango dell’Ellade…

e il sacro verde-argenteo

virgulto dell’ulivo, che benefico

del parto di Latona fu alle doglie.            (Ettore Bignone)

(Orfeo, Firenze, 1950, vv. 12-13, 19-21, pp. 91, 92)

 

ARISTOFANE (450 ca – 385 ca a.C.)

LE NUVOLE

Servo                       Non c’ è più olio nella lucerna.

Strepsiade                Ma perché sei andato ad accendere quella che se lo beve l’olio? Vieni qua, che                   ti punisco.

Servo                       Ma perché?

Strepsiade                Perché hai messo un lucignolo di quelli grossi.

(Aristofane, Le Nuvole, Milano, 1953, vv. 56-59, p. 336)

 

LE VESPE

Giudice                      Chi ti ha insegnato a toccare il lucignolo con il dito, con tanta scarsità                                  di olio che c’è? Quando occorre ricomprarlo, e a caro prezzo, a te, non                                  te ne importa niente (gli dà un ceffone).

Fanciullo                    Se mi fai Ia predica a suon di botte, spegniamo la lucerna. Ma                                               torneremo a casa al buio e ti toccherà camminare alla cieca.

(Aristofane, Le Vespe, Milano, 1953, vv. 25 1-257, p. 470)

 

GLI UCCELLI

Evelpide                     Come re (gli uccelli) ci convengono molto più di Zeus.

Pistetero                    Molto di più, non è vero? Non dovremo costruire per loro tem­pli di                                         pietra, né munirli di porte dorate.

                                  Staranno sui cespugli e sui lecci; per i più illustri tra loro, il tempio                                         sarà un ulivo. E non dovremo andare fino a Delfi o all’oasi di                                                 Ammone per sacrificare, ma   stando in piedi tra corbez­zoli e oleastri,                                   offriremo orzo e frumento, tendendo le mani e pregandoli di darci la                                     nostra parte di bene. E I’avremo subito, solo     gettando un po’ di                                         grano.

                                  (Aristofane, Gli Uccelli, Milano, 1986, p. 234)

 

LE DONNE AL PARLAMENTO

Prassagora:             Splendido occhio delle tornita lucerna, opera raffinata d’artigia­no, vogliamo dire le tue origini e le tue fortune. Tu che uscita dal torio, dalle mani del vasaio, compi con le tue narici il ful­gido ufficio del sole, tu dunque ora getta il segnale di fuoco convenuto. A te sola possiamo dirlo; e giustamente: persino nel­le nostre stanze, quando proviamo i modi di Afrodite, ci stai ac­canto; il tuo occhio guarda i corpi attorti, e non ne viene esclu­so. E ancora tu sola illumini i segreti delle cosce, bruciando il pelo che vi fiorisce; e ci assisti quando di nascosto apriamo la dispensa piena di vino e di grano – sei nostra complice e non vai a spifferarlo ai vicini. Grazie a tutto questo, ti dirò i nostri pro­getti (indire un’assemblea di sole donne) che le mie amiche hanno appena deciso alle feste delle Scire (feste femminili in onore di Demetra e Persefone).

(Aristotele, Le Donne al Parlamento, Milano, 1984, vv. 1-18, pp. 54-56)

 

ACARNESI

Coro                            O Pace, compagna di Cipride (Venere) la bella e delle amate Cariti (le Grazie), che bel viso hai! Non lo ricordavo. Oh, se fossimo presi ed uniti, io e te, da un Eros simile a quello dipinto (un quadro di Eros dipinto da Zeusi nel tempio di Afrodite, ad Atene) con una corona di fiori! O forse tu mi ritieni un vecchiet­to? Ma se li prendo, credo che io, il vecchio, ce la farei ancora

                                      in tre cose: primo, pianterei un lungo filare di viti; poi, teneri germogli di fico accanto ad esso; terzo, un tralcio di vite colti­vata; e, intorno a tutto il podere, in cerchio, ulivi (sono doppi sensi su terminologia agricola): così potremmo ungerci, tu ed io, alla luna nuova.

(Aristotele, Acarnesi, Milano, 1953, vv. 989-999, p. 188)

 

TEOFRASTO (372/368 – 288/285 a.C.)

I CARATTERI

  • LA SPILORCERIA:

     Lo spilorcio… non permetterebbe mai ad alcuno né di cogliere un fico nel suo            frutteto né di passare per il suo campo né di raccattare un’oliva o un dattero di          quelli caduti in terra…

                 E vieta alla moglie di prestare granelli di sale o un lucignolo o un piz­zico di cimino                  o di regamo o chicchi d’orzo o bende di lana o farina impastata con vino e olio; e                dice che, se sono tutte piccolezze, in capo all’anno, messe assieme, fanno                              molto… E lo si vede… ungersi con ampolle piccolissime.

                 (Teofrasto, I Caratteri, X 8-14, pp. 19-20)

 

XVI.           LA SUPERSTIZIONE:

Se una donnola gli attraversa la via, non va oltre prima che un altro sia passato di là, o che egli stesso abbia gettato tre sassi oltre quel tratto di strada… E, passando, non manca di versar olio dalla sua ampollina sulle pietre lucide dei trivi, e non procede oltre senz’essersi inginoc­chiato e aver fatto la sua preghiera.

(Ibid., XVI 3, 5, pp. 27-28)

 

 

 

XIX:            LA SUDICERIA:

Particolarità: soffiarsi il naso a tavola; grattarsi mentre sacrifica; schizzare con la bocca mentre conversa; ruttare tra il bere; mettersi a letto con la moglie senza essersi lavato; ungersi nel bagno pubblico con olio rancido.

(Ibid., XIX 4-6, p.33)

 

XXIV.          LA SUPERBIA:

Il superbo… non lascia entrar nessuno, mentre si unge o fa il bagno o è a tavola.

(Ibid.,XXIV11, p.42)

 

XXX.           L’AVARIZIA:

L’avaro… quando si unge nel bagno, dice: “Ragazzo, l’olio che mi hai comprato, è rancido”, e così si unge con quello degli altri.

(Ibid., XXX 8, p.52)

 

TEOCRITO (IV – III sec. a.C.)

EPITALAMIO D’ELENA

Imenco       Sotto la coltre stessa con te vien la figlia di Giove (Elena)… Noi, sue compagne d’età, che unte, come uomini, d’olio, correr con lei solevamo lunghessi i lavacri d’Eurota, noi, quattro volte sessanta fanciulle, virginea schiera, niuna è di biasimo immune, se ad Elena mai si raffronti…

Noi coglieremo prima da l’umili zolle il trifoglio, serti ne in­trecceremo per te, sotto un platano ombroso; e del molle olio at­tinto l’umor dalla fiala d’argento, lo stilleremo prime per te sotto il platano ombroso.

E sovra il tronco, cifre scolpite saranno, ché ognuno sosti pas­sando: “A me doni offrite: ché d’Elena io sono”.

(Teocrito, Idilli, in “Esiodo, Pindaro, Teocrito, Eronda”, Bologna, 1969, pp. 740-741)

 

ASCLEPIADE DI SAMO (dab sec. IV al III a.C.)

XII – 50

Così breve è il giorno!

O aspettiamo la lampada, compagna

del sonno? Ma via, beviamo, disperato amante!

(S.Quasimodo, Antologia, Milano, 1976, pp. 153-1549

 

SPEGNETE LA LUCERNA

“Questa notte verrò” me lo promise Niko

bella e famosa, e giurò su Demetra

legislatrice augusta degli amori.

Ma venuta non è: la guardia è già passata.

Volle allora mentir con giuramento?

Schiavi, spegnete la lucerna.

(Lirici Greci, Milano, 1965, p. 117)

 

LEONIDA DI TARANTO (ca. 320 – ca. 260 a.C.)

COME LUCERNA

L’assai vecchio Teride…

morì nella capanna sua di giunchi,

come lucerna che da sé piano

estingue la sua fiamma.

(Ibid., vv. 1, 10-12, pp. 125-126)

 

CALLIMACO (300 ca. – 246/221 a.C.)

INNO II    AD APOLLO

A terra

stillano gocce d’olio profumato

dai suoi capelli. Non si spande grasso

dalle chiome d’Apollo, ma un rimedio

adatto a tutto, e la città, in cui cadono

a terra quelle gocce, ha tutto incolume.

(Callimaco, Inni-Chioma di Berenice, Milano, 1984, Inno II “Ad Apollo”, vv. 38-41, p. 14)

 

INN0 IV   A DELO

Delo

divenne d’oro…

ed ebbe chioma d’ oro

per la nascita d’Apollo, il ramo dell’ulivo…

Non partirono gli Ateniesi

senza aver fatto con le danze il giro

del grande altare tuo (di Apollo Delio), su cui ricade

l’urto dei colpi e senza avere morso,

con le mani incrociate sulla schiena,

il tronco consacrato dell’ulivo.

(Ibid., Inno IV “A Delo”, vv. 260-262 e 3 19-322, pp. 70-76)

 

INNO V     PER IL BAGNO DI PALLADE

                                     Pallade da esperta

si unse, versati i naturali unguenti,

prodotto del suo albero…

fanciulle offritele anche adesso

solamente il virile olio d’oliva

con cui Castore ed Eracle si spalmano.

E un pettine portate, tutto d’oro,

perché, lisciati i riccioli lucenti,

si pettini la chioma.

(Ibid., Inno V “Peril bagno di Pallade”, vv. 25-26 e 29-32, p. 84)

 

EPIGRAMMI LV.

La figlia di Crizia, Callistio,

offense al dio di Canopo (ii dio egizio Serapide)

                                     me ricca lampada a venti fiammelle,

in voto per la sua Apellide.

Dirai mirando le mie vivide luci:

“Come sei caduta, stella della sera?”

(Callimaco, Epigrammi, Torino, 1990, LV, p.112)

 

CHIOMA DI BERENICE Traduzione latina di CATULLO, LXVI

Di quest’elegia a noi sono pervenuti pochi frammenti, ma abbiamo fortunatamen­te la pregevole traduzione di Catullo. Il componimento trae lo spunto da un’astrusa scomparsa di riccioli della chioma di Berenice, da lei offerti in dono a Venere, per favorire il ritorno dalla guerra dell’amato marito, e ricomparsi mi­steriosamente in cielo, secondo il sacerdote Conone, per formarvi una costella­zione.

Ecco l’accorato discorso della chioma:

non mi dà tanta gioia questo stato (di essere una costellazione),

                                      quanto mi cruccia l’essere lontana,

esser lontana dalla mia padrona

e dal suo capo. Ed io, priva con lei

d’ogni profumo, finché fu fanciulla,

molte semplici essenze con lei bevvi.

Ora voi (spose) che la fiaccola congiunse

nel giorno atteso, non abbandonate

ai concordi mariti il vostro corpo,

tolta la veste e denudato il seno,

prima di offrire a me dall’alabastro,

dall’alabastro vostro lieti doni (profumi ed unguenti).

                                      La polvere leggera beva invano

le male offerte delle impure adultere:

non chiedo doni alle persone indegne.

Abiti sempre, spose, la concordia,

sempre l’amore senza interruzione

dentro le vostre case. Tu, regina (Berenice),

                                      quando, guardando le costellazioni,

nelle feste farai propizia Venere,

non lasciare che resti io che son tua

senza offerte d’unguenti, ma piuttosto

onorami con doni sontuosi.

Magari rovinassero le stelle!

vorrei tornare chioma di regina.

(Callimaco, Chioma di Berenice, trad. di Catullo, LXVI, vv. 75-93, p.128)

 

APOLLONIO RODIO (III sec. a.C.)

LE ARGONAUTICHE

LIBR0 I         Prima di partire gli Argonauti:

raccolte le pietre in riva al mare, elevarono

sulla riva un altare ad Apollo, col nome di dio delle rive

e degli imbarchi, e subito stesero sopra rami secchi d’ulivo.

In questo tempo i bovari incaricati da Giasone

portavano dalle sue mandrie due buoi: i compagni

più giovani li trascinarono presso l’altare,

ed altri apprestarono i chicchi d’orzo, e l’acqua lustrale.

Allora il figlio di Esone (Giasone)

pregò invocando Apollo, il Dio dei suoi padri.

(Apollonio Rodio, Argonautiche, Milano, 1986, I vv. 402-410, p.130)

 

LIBRO II            Fu innalzato in quella terra (Paflagonia)

                         il sepolcro all’eroe, (ad Idmone),

                         e sopravvive un segno alla vista dei posteri,

un rullo d’ulivo selvaggio, quali si usano per varare le navi,

fiorente di fronde, poco sotto la vetta del Capo Acherusio.  (sul Mar Nero)

(Ibid., II vv. 84 1-850, p.332)

 

E se, guidato dalle Muse, devo dirlo con piena franchezza,

Febo ordinò chiaramente ai Beoti e ai Nisei

di onorare Idmone come loro patrono,

e attorno all’ulivo selvaggio fondare

la loro città; ma quelli… onorano invece ancor oggi

Agamestore.

 

LIBR0 III                        Nel palazzo reale di Eeta, nella Colchide, gli Argonauti:

(Ibid., III vv. 2 19-229, pp. 402-404)

                                      passarono tranquillamente la soglia. Accanto ad essa,

fiorivano rigogliose, levandosi alte,

viti incoronate di pampini. Sotto le viti,

scorrevano quattro fontane perenni, lavoro

del dio Efesto: la prima versava latte,

la seconda vino, la terza olio fragrante

e l’ultima acqua, calda, verso il tramonto

delle Pleiadi, e al loro sorgere invece

usciva, dalla roccia cava, gelida come il ghiaccio.

Queste opere illustri aveva compiuto l’abile Efesto

nel palazzo di Eeta.

(Pleiadi: il sorgere delle Pleiadi ha luogo il 10 maggio; il tramonto l’11 novembre)

 

MELEAGRO DI GADARA (dal II al l sec. a.C.)

  •                      O Sacra notte, e tu lampada,

qui davanti a voi, soli testimoni,

giurammo noi due: egli di amarmi sempre

ed io di non lasciarlo mai. Voi due

soltanto conoscete il nostro patto.

Ma ora egli dice: “Tali giuramenti

sono scritti sull’acqua”. Già; e tu lampada

lo vedi in altre braccia.

(S.Quasimodo, Antologia, Milano, 1976, p.156)

 

  • 165               Solo di questo ti supplico, amica

notte, madre degli dèi, sacra notte,

ti supplico, compagna dei piaceri.

Se mai sotto la coltre di Eliodora

giace qualcuno, e al tepore si scalda

della sua pelle che porta via il sonno,

s’addormenti la lampada,

ed egli inerte resti sul suo seno.

(Ibid., p.157)

 

  • 197               Per la lampada insonne che vide

infinite orge.

(Antologia Palatina, Milano, 1977, vv. 5-6, p. 59)

 

MARCO ARGENTARIO (dal I sec. a.C. all sec. d.c.)

CUORE SU CUORE

Cuore su cuore, col petto premuto sui seni di lei,

fitte le labbra sulle labbra di bei soavi,

tutto col corpo libavo d’Antigone il corpo.

Ma il resto taccio. Ché solo la mia lucerna vide.          (Gino Regini)

(Orfeo, Milano, 1950, p.112)

 

PLUTARCO (46 – 120 Ca.)

TESEO

L’eroe Teseo, sorteggiati i giovani ateniesi da portare in tributo al Minotau­ro a Creta, prese dal pritaneo i giovani prescelti e, recatosi al Delphinion, dedicò ad Apollo il ramo d’ulivo dei supplici, per la loro salvezza.

Tornato vincitore ad Atene, Teseo adempì al voto fatto ad Apollo, nel settimo giorno del mese di Pianep­sione: questo infatti era il giorno in cui tornarono sani e salvi in città. L’uso di cuocere legumi si dice derivi dal fatto che i giovani stessi, una volta in salvo, mescolarono insieme ciò che restava delle vivande, e o fecero cuo­cere in una pentola in comune, poi si misero a tavola e pranzarono tutti insieme.

Portano l”eiresione”, un ramo d’ulivo avvolto in lana che ricoprono comple­tamente di primizie in ricordo della fine della sterilità; essi cantano:

Eiresione, porta fichi e pingui pani, miele in coppa e olio per ungersi, e un calice di vino puro, perché ubriaco dorma.

(Plutarco, Teseo e Romolo, Milano, 1988, Teseo, XVIII 1; XXII 4-7, pp. 38 e 48)

 

ALESSANDRO MAGNO

Quando Alessandro stava per passare in India. . . un Macedone, preposto al guardaroba, scavando presso il fiume Osso (al confine della Battriana) per piantarvi la tenda reale, scoprì una fonte di liquido grasso e oleoso. Esaurito il primo fiotto, fluiva ormai olio puro e trasparente che non sembrava diverso dall’olio d’oliva, né per odore né per gusto, e gli era del tutto simile per densità e colore; e tutto ciò nonostante la regione non avesse piante d’ulivo… Si vede chiaramente che Alessandro ne fu compiaciuto da quanto scrive ad Antipa­tro, là dove asserisce che questo fu uno dei segni più grandi che gli vennero dal dio. Gli indovini lo considerarono il segno di una spedizione gloriosa ma aspra faticosa: infatti l’olio è stato dato dagli dèi agli uomini come ristoro alle fatiche

(oleum namque ad leniendum corpus Deo tributum esse mortalibus).

(Plutarco, Alessandro e Cesare, Milano, 1987, Alessandro, LVII 1, 5-6, 8-9, pp. 170-172)

 

FILIPPO DI TESSALONIGA (I sec. d.c.)

VI – 102           Una mela granata… un fico… una rosea vite… un pomo…

ed una noce… un fresco cocomero…

e un’oliva quasi matura, con la buccia d’oro,

tutto ciò, o Priapo, amico dei viandanti,

ti dedicò Lamone il giardiniere,

pregandoti di dar vigore agli alberi

ed alla sua salute.

(Orfeo, Milano, 1950, p.112)

 

PAOLO SILENZIARIO (VI secolo d.c.)

V – 279           Tarda Cleofantide e già per la terza volta la lampada s’abbassa lieve                                       consumandosi. Oh se anche con la lampada si spegnesse la fiamma del mio                         cuore.

(S.Quasimodo, Antologia, Milano, 1976, p.205)

 

LETTERATURA GRECA MODERNA

TAKIS TSIAKOS (1909)

ALCIONIDI

Ed eccoti, sole più biondo

d’estate, ecco

che vinci il fresco argenteo

dell’ulivo nano del bosco.

(Poesia Greca Contemporanea, Milano, 1968, vv. 1-4, p.136)

 

 

ANGELOS SIKELIANOS (1884 – 1951)

LA CIVETTA

La bora di maggio

ieri soffiava sull’Jonio, eppur ora

par di cristallo l’onda, né la sabbia

àlita. Calma e immota l’aria sta

nell’uliveto. Verso il sole un alito

non han gli ulivi…

Lavato m’ero dentro l’onda all’alba…

Era la mente mia come un ulivo

fiorito, che del frutto si spogliò,

e che sospenda alle marine brezze

lieve spuma di fiori…

Sacro sempre

sarà I’ulivo, e sempre, insiem con noi,

Ia civetta, dai grandi occhi sbarrati,

                                                     contemplerà, nelle divine sere.                                                     (Bruno Lavagnini)

 

 

 

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