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LETTERATURA ITALIANA

 

DANTE ALIGHIERI (1265 – 1321)

PURGATORIO

CANTO II             E come a messagger che porta ulivo

tragge la gente per udir novelle.

 

CANTO XXII         Facesti come quel che va di notte,

che porta il lume dietro e a sé non giova

ma dopo sé fa le persone dotte.

 

CANTO XXIX        Poco più oltre, sette alberi d’oro

falsava nel parere il lungo tratto

del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;

ma quand’i’fui si presso di lor fatto,

che l’obietto comun, che’l senso inganna,

non perdea per distanza alcun suo atto,

la virtù ch’a ragion discorso ammanna,

si com’elli eran candelabri apprese,

e nelle voci del cantare “osanna”.

Di sopra fiammeggiava il bell’arnese

più chiaro assai che luna per sereno

di mezza notte nel suo mezzo mese.

 

CANTO XXX          Così dentro una nuvola di fiori

che dalle mani angeliche saliva

e ricadeva in giù dentro e di fori,

sovra candido vel cinta d’uliva

donna m’apparve, sotto verde manto

vestita di color di fiamma viva.

Vidi Ia donna che pria m’apparìo

velata sotto l’angelica festa,

drizzar li occhi ver me…

Tutto che’l vel che le scendea di testa,

cerchiato delle fronde di Minerva,

non la lasciasse parer manifesta.

 

FRANCESCO PETRARCA (1304 – 1374)

Cantore del “lauro “, il poeta, nel suo “Canzoniere “, ritorna sovente sulla simboli­ca pianta: nelle visioni di Laura, la donna sempre amata; nella sua trasformazione ortirica in “lauro “, dalle cui fronde “sperato avea già di lor corona”; nel lamento di aver abbandonato per Ia poesia (il lauro), la scienza (la divina Minerva, inven­trice de le prime olive).

 

Non lauro o palma, ma tranquilla oliva

pietà mi manda, e’l tempo rasserena,

e’l pianto asciuga, e vuol ancor ch’io viva.

 

FRANCESCO CASSOLI (1749 – 1812)

ALLA LUCERNA

Non l’aureo sol che altero

il dì portando in fronte

s’alza, su l’emisfero,

e in piano immenso e in monte

imperioso appare

e si fa specchio il mare;

non ei, benché tesori

sparga di luce e mille

oggetti a me, colori,

non s’ offre a mie pupille

sì lieto e si giocondo

l’allegrator del mondo,

come l’esil fiammella

che lingueggiando move

da te, mia fida ancella

lucerna, e dolce piove

del cor nel più secreto

il suo chiaron quieto…

Lucerna, a te mie pene

io già narrar solea…

Tu nel solingo orrore,

del meditar sì amico,

veglia col tuo signore…

Tu nell’estrema sera

splendi al mio letto accanto;

ed a luce sincera

su la parete intanto

veder mi sembri scritto:

“Nulla per me fu afflitto”.

 

VINCENZO M0NTI (1754 – 1828)

FERONIADE

Feronia, dea italica dei boschi e degli orti, perseguitata da Giunone, trova rifugio presso dei buoni e poveri contadini che, credendola una mortale, le apprestano quanto hanno di meglio per rifocillarla:

alla cara sua moglie Teletusa

il buon Lica dicea:                                      “Presto sul desco

spiega un candido lino; e passe ulive

récavi e pomi e grappoli che salvi

dal morso abbiam dell’aspro verno, e un nappo

di soave lambrusca, e s’altro in serbo

tieni di meglio”.

 

UGO FOSCOLO (1778 – 1827)

Al NOVELLI REPUBBLICANI

Genio a noi scende di pace,

e con la destra un ramoscel d’ulivo

alza, dolce cantando inno giulivo.

 

SERMONE TERZO (Frammenti)

Consunta

molta lucerna ho su i volumi.

 

LE GRAZIE – VENERE

Sacra città è Zacinto!

limpide nubi a lei Giove concede,

e selve ampie d’ulivi.

 

LE GRAZIE – VESTA

Io dal mio poggio,

quando tacciono i venti tra Ie torri

della bella Firenze, odo un Silvano,

ospite ignoto a’ taciti eremiti

del vicino uliveto.

 

LE GRAZIE – VESTA (Frammenti)

Simile a Cerere una donna

su la foce dell’Arno… attendeva

portando in man purpurei gigli e fronde

fresche d’ulivo.

 

I SEPOLCRI

Rapian gli amici una favilla al Sole

a illuminar la sotterranea notte,

perché gli occhi dell’uom cercan morendo il Sole…

 

(A Firenze) Lieta dell’aer tuo veste la Luna

di luce limpidissima i tuoi colli

per vendemmia festanti, e le convalli

popolate di case e d’uliveti

mille di fiori al ciel mandano incensi.

 

GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI (1791 – 1863)

LE GABBELLE

Ah, dunque, perché noi nun negozziamo

e nun avemo manco un vaso ar zole,

lei vorrebbe conchiude in du’ parole

che le gabbelle noi nun le pagamo?

Le pagamo sur pane che magnamo,

sur panno de le nostre camiciole,

sur vino che bevemo, su le sòle

de le scarpe, e su l’ojo che logramo (consumiamo).

 

Le pagamo, per dio, su la piggione,

sur letto da sdrajacce, e su ii stiji (strumenti)

che servono a la nostra professione.

 

Le pagamo – e sta vergna (disgrazia) è la più dura –

per pijà moje e battezzà li fiji

e per èsse buttati in zepportura.

 

GIACOMO LEOPARDI (1798 – 1837)

IL SABATO DEL VILLAGGIO

Quando intorno è Spenta ogni altra face,

e tutto l’altro tace,

odi il martel picchiare, odi la sega

del legnaiuol che veglia

nella chiusa bottega alla lucerna,

e s’affretta, e s’adopra

di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

 

 

LE RICORDANZE

Piansi la bella giovinezza, e il fiore

de’ miei poveri dì, che sì per tempo

cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso

sul conscio letto, dolorosamente

alla fioca lucerna poetando,

lamentai co’ silenzi e con la notte

il fuggitivo spirto, ed a me stesso

in sul languir cantai funereo canto.

 

GIOSUE’ CARDUCCI (1835 – 1907)

ALLA MEMORIA DI D.C.

Lenta sale pe ‘I freddo aere la luna,

e largamente il cielo inalba, e il muto

colle riveste e ‘l nudo pian d’argento:

per li verdi oliveti infuria il vento

profondo, e intomo ogni animal si tace.

 

PER G. MONTI E G. TOGNETTI

Oh, allor che del Giordano a i freschi rivi

traea le turbe una gentil virtù

e ascese a le città liete d’ulivi

giovin messia del popolo Gesù.

 

PER LE NOZZE DI C. PARENZO

Libava a le tre dee

il tragico divino

meditando i secreti

di Colono oliveti.

Per il trasporto DELLE RELIQUIE DI

UGO FOSCOLO IN SANTA CROCE175

E i colli e gli oliveti,

che il tuo verso di luce anco riveste,

come la luna.

 

SIRMIONE

Ecco: La verde Sirmio nel lucido lago sorride,

fiore de le penisole.

Il sol la guarda e vezzeggia: somiglia d’intorno il Benaco

una gran tazza argentea,

cui placido olivo per gli orli nitidi corre

misto a l’eterno lauro.

 

GIOVANNI MARRADI (1852– 1922)

SUI COLLI

Ma che m’importa se il verde argenteo

degli oliveti luccica a s’agita

su l’onda ineguale dei colli

come marina mossa dal vento?

 

GIOVANNI PASC0LI (1855 – 1912)

IL SOLE E LA LUCERNA

In mezzo ad uno scampanare fioco

sorse e batté su taciturne case

II sole, e trasse d’ogni vetro il fuoco.

C’era ad un vetro tuttavia, rossastro

un lumicino. Ed ecco il sol lo invase,

lo travolse in un gran folgorio d’astro.

E disse, il sole: – Atomo fumido! io

guardo, e tu fosti -. A lui l’umile fiamma:

– Ma questa notte tu non c’eri, o dio;

e un malatino vide Ia sua mamma

alla mia luce, fin che tu sei sorto.

Oh!, grande sei, ma non ti vede: è morto! -.

E poi, guizzando appena:

– Chiedeva te! che tosse!

voleva te! che pena!

Tu ricordavi al cuore

suo le farfalle rosse

su Ie ginestre in fiore!

lo stavo lì da parte…

gli rammentavo sere

lunghe di veglia e carte

piene di righe nere!

Stavo velata e trista,

per fargli il ben non vista -.

 

LA CANZONE DELL’ULIVO

Ai piedi dell’odio che, alfine

solo è con le proprie rovine,

piantiamo l’ulivo!

l’ulivo che agli uomini appresti

Ia bacca ch’è cibo e ch’è luce,

gremita, che alcuna ne resti

pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco

pallore Ia rupe già truce,

dov’erri la pecora, e rauco

la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene

pel figlio dell’uomo, che viene

sul mite asinello…

Non vuole

per crescere, ch’aria, che sole,

che tempo, l’ulivo!

Nei massi le barbe, e nel cielo

le piccole foglie d’ argento!…

tra i massi s’ avvinchia, e non cede,

se i massi non cedono, al vento.

Lì soffre, ma cresce, ne chiede

più ciò che non volle…

Noi mèsse pei figli,

noi, ombra pei figli de’ figli,

piantiamo l’ulivo…

Tu piacido e pallido ulivo,

non dare a noi nulIa; ma resta!

ma cresci, sicuro e tardivo,

nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto

che, dopo ci brilli sul letto

dell’ultima pace.

 

LA POESIA

Io sono una lampada ch’arda

soave!

la lampada, forse, che guarda,

pendendo alla fumida trave,

Ia veglia che fila; (le contadine che filano)

e ascolta novelle e ragioni

da bocche

celate nell’ombra, ai cantoni,

là dietro le soffici rocche

che albeggiano in fila:

ragioni, novelle, e saluti

d’amore, all’orecchio, confusi:

gli assidui bisbigli perduti

nel sibilo assiduo dei fusi;

Ie vecchie parole sentite

da presso con palpiti nuovi,

 tra il sordo rimastico mite

dei bovi:

la lampada, forse, che a cena

raduna;

che sboccia sul bianco, e serena

sull’ ampia tovaglia sta, luna

su prato di neve…

Se già non la lampada io sia,

che oscilla

davanti a una dolce Maria,

vivendo dell’umile stilla

di cento capanne:

raccolgo l’uguale tributo

d’ulivo

da tutta la villa, e il saluto

del colle sassoso e del rivo

sonante di canne…

Io sono la lampada ch’arde

soave!

nell’ore più sole e più tarde,

nell’ombra più mesta, più grave;

più buona, o fratello!

Ch’io penda sul capo a fanciulla

che pensa, su madre che prega, su culla

che piange, su garrula mensa,

su tacito avello;

lontano risplende l’ardore

mio casto all’errante che trita

nottumo, piangendo nel cuore,

la pallida via della vita:

s’arresta; ma vede il mio raggio

che gli arde nell’anima blando:

riprende l’oscuro viaggio

cantando.

 

 

GABRIELE D’ANNUNZIO (1863 – 1938)

LA SERA FIESOLANA

E sugli ulivi, su i fratelli ulivi

che fan di santità pallidi i clivi

e sorridenti…

 

L’ULIVO

Laudato sia l’ulivo nel mattino!

Una ghirlanda semplice, una bianca

tunica, una preghiera armoniosa

a noi son festa.

Chiaro leggero è l’arbore nell’aria.

E perché l’imo cor la sua bellezza

ci tocchi, tu non sai, noi non sappiamo,

non sa l’ulivo.

Esili foglie, magri rami, cavo

tronco, distorte barbe, piccol frutto,

ecco, e un nume ineffabile risplende

nel suo pallore!

O sorella, comandano gli Ellèni

quando piantar vuolsi l’ulivo, o còrre,

che ‘l facciano i fanciulli della terra

vergini e mondi,

imperocché la castitate sia

prelata di quell’arbore palladio

e assai gli noccia mano impura e tristo

alito li perda…

Tenue serto a noi, di poca fronda,

è bastevole: tal che d’alcun peso

non gravi i bei pensieri mattutini

e d’alcuna ombra.

O dolce Luce, gioventù dell’aria,

giustizia incorruttibile, divina

nudità delle cose, o Animatrice,

in noi discendi!

Tocca l’anima nostra come tocchi

il casto ulivo in tutte le sue foglie;

e non sia parte in lei che tu non veda,

Onniveggente!

 

DIEGO VALERI (1887 – 1976)

PALERMITANA

“Alegranza si nd’ jiu a li damigelli

chi tessinu la sita di Soria “.

(Canzone siciliana del ‘200)

Dentro la reggia d’oro…

le belle non si sazian di cantare…

Brune nitide e frcsche come olive,

levano ad or ad or le braccia nude

nel sole e, ad ogni strofa che si chiude,

guardano intorno morbide e furtive…

Paggio Allegrezza ha sulle labbra e in cuore

una gran sete che l’arde e consuma.

Deh fresche olive, non sarà nessuna

che gli offra un sorso del dolce liquore?

II dolce olio che gonfia il vostro petto;

che sulle guance tonde vi sfavilla,

che dalle labbra pallide vi stilla:

quello occorre a salvare il poveretto.

 

GIUSEPPE UNGARETTI (1888 – 1970)

SERA

Appiè dei passi della sera

va un’acqua chiara

colore dell’uliva,

e giunge al breve fuoco smemorato.

Nel fumo ora solo grilli e rane,

dove tenere tremano erbe.

 

ANGELO BARILE (1888 – 1967)

PASQUA AL FRONTE

Queste foglie d’ulivo benedetto,

amico, accetta, è il mio pasquale dono.

Senti, si dolci al nostro cuor non sono

le violette.

 

E il caro ulivo della mia riviera!

Nato a specchio dell’onda più turchina

ha il verde-argento della mia collina

sul mar leggera.

Ben so che la tua anima pugnace

al duro gioco della guerra è avvezza,

ma non ti spiacerà questa carezza

mite, di pace,

che ti riporta, amico, le lontane

pasque fulgenti della puerizia

e nei sabati santi la letizia

delle campane.

Ne arriva un’eco per intime strade,

che vince il rombo del cannone, e tu

vedi il paese, senti che laggiù

prega tua madre,

senti la tua fanciulla che ti chiama…

Pasqua di pace, nostra Pasqua santa,

ch’io tomnerò agli ulivi del mio lido,

tu a quello che nel cuore già ti canta

trepido nido.

 

EUGENIO MONTALE (1896 – 1981)

FINE DELL’INFANZIA

Pure colline chiudevano d’intorno

marina e case; ulivi le vestivano

qua e là disseminati come greggi

o tenui come il fumo d’un casale

che veleggi

la faccia candente del cielo.

 

EGLOGA

Perdersi nel bigio ondoso

dei miei ulivi era buono

nel tempo andato – loquaci

di riottanti uccelli

e di cantanti rivi.

Come affondava il tallone

nel suolo screpolato,

tra le lamelle d’argento

dell’esili foglie. Sconnessi

nascevano in mente i pensieri

nell’ aria di troppa quiete.

Ora è finito il cerulo marezzo.

 

SALVATORE QUASIMODO (1901 – 1968)

I RITORNI

E la strada mi dava le canzoni,

che sanno di grano che gonfia nelle spighe,

del fiore che imbianca gli uliveti

tra l’azzuno del lino e le giunchiglie.

 

STRADA DI AGRIGENTUM

Il maranzano tristemente vibra

nella gola al carraio che risale

il colle nitido di luna,

lento tra il murmure d’ulivi saraceni.

 

IL TUO PIEDE SILENZIOSO

Ed ecco il mare…

e dentro specchi,

ridenti ancora, fanciulle dai cupi

capelli disciolti. Una era al tuo fianco

sulle rive ioniche… e lasciò

appena il chiaro d’un nome nell’ombra

degli ulivi.

 

DI NOTTE SULL’ACROPOLI

Una notte ad Atene…

l’ulivo vicino l’Eretteo

segnava obliqui triangoli ondulati,

scarabei in moto. Suonò la civetta

 sul mare, fresca, felice.

 

ANTONIA POZZI (1912 – 1938)

SOGNO SUL COLLE (Assisi)

Sotto gli ulivi vorrei

in un mattino fresco

salire

e salutare

di là dalle lievi

chiome d’ argento

il pallore del sole ed il volo

delle nuvole lente

verso il mare.

 

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