
LETTERATURA LATINA
QUINTO ENNI0 (239 – 169 a.C.)
L’uomo che amorevolmente indica la strada giusta a chi si sta sviando, è come se accendesse con la propria lampada una nuova lampada e, così facendo, illuminando chi ne ha bisogno, dà ancora più luce a se stesso.
(Ennio, Frammenti delle Tragedie, 412-14, in “Remains of Old Latin” London, 1988, p.373)
TITO LUCREZIO CARO (ca. 98 – 54 a.C.)
DE RERUM NATURA
La stessa natura, la terra per prima
esempio alla semina offerse e all’innesto:
le bacche e le ghiande cadendo a suo tempo
porgevano ai piedi degli alberi sciami
di nuovi rampolli; e agli uomini piacque
allora inserire quei germi nei rami
e in fosse piantare nel suolo i nuovi virguiti.
E quindi nel dolce piccolo campo tentavano
varie colture e vedevan la terra,
trattata con cura, rendere buoni,
maturi quei frutti un tempo selvatici.
E costrinsero i boschi sempre più a ritirarsi
verso l’alto dei monti e a far posto
alle semine e ai cóiti nei luoghi più bassi:
per avere e guardare nei campi e nei colli
prati, ruscelli, laghi, messi, vigne ridenti;
e i cerulei ulivi giunsero ai poggi
spiccando diffusi per campi e per valli:
al modo che adesso tu vedi spiccare
di varia lietezza le belle campagne
che gli uomini adornano e cingono intorno
di piante fruttifere e amene.
(Lucrezio, Della Natura, Milano, 1990, V vv. 1361-1378, pp. 364-366)
CATULLO (84 ca. – 54 ca. a.C.)
34 O grande di Latona
figlia (Artemide) e del Dio supremo
accanto a un ulivo in Delo
tua madre ti partoriva.
(Catullo, Le Poesie, Tonino, 1980, XXXIV vv. 5-8, p. 76)
6 Flavio, tu non passi le notti da solo! Lo rivelano la tua alcova, fragrante di fiori e di profumi d’ulivo di Siria, il guanciale per ogni dove stazzonato, lo scricchiolio e l’ondeggiamento del letto sgangherato.
(Catullo, Carmina, VI vv. 6-11)
PUBLIO VIRGILI0 MARONE (70 – 19 a.C.)
ENEIDE
V I partecipanti alla gara di corsa avranno in dono giavellotti e scuri dai manici d’argento ma i tre primi si avranno
di pallido ulivo il capo recinto…
Mnesteo vincitore
alla gara navale, Mnesteo incoronato d’ulivo…
I ragazzi entrano…
hanno secondo l’usanza la chioma legata di fronde d’ulivo…
egli stesso Enea, il capo adornato di fronda d’ulivo.
(Virgilio, Eneide, Firenze, 1966, V vv. 308-309, 493-494, 553-556, 774, pp. 438, 448, 450, 464)
VI Corinèo chiude le ossa nell’urna di bronzo
e con un ramo leggero di pallido olivo
sparge d’acqua pura i compagni
e dice tre volte il saluto.
Poi coprono l’urna con un grande sepolcro
ed Enea mette le armi, il remo, la tromba
sui monte che da lui si chiama Miseno
e quel nome avrà sempre nel tempo…
Quello lontano chi è, adorno di rami d’ulivo, portante
arredi sacri? I capelli bianchi ravviso e la barba
del re romano (Numa)…
Enea compie i riti notturni ai re dello Stige
e mette sul fuoco intatti corpi di tori
olio versando pingue sui visceri ardenti di quelli.
(Ibid., VI vv. 228-235, 808-8 10, 252-254, pp. 484, 516, 486)
VII II nato d’Anchise comanda che cento
d’ogni ceto prescelti legati si rechino
tutti con rami d’olivo al palazzo del re…
Alietto del volto e del corpo
di Furia si spoglia e assume aspetto di vecchia: solca
la fronte di rughe, si mette bianchi capelli e la benda,
e intreccia sul capo un ramo d’ulivo: diventa Calìbe
vecchia del tempio a Giunone sacerdotessa…
Ornato su l’elmo di fronda d’ulivo, mandato dal re
Archippo era il fortissimo Umbrone (sacerdote dei Marsi),
capace d’infondere col canto e con mano il sonno alle vipere.
(Ibid., VII vv. 152-154, 415-419, 75 1-754, pp. 532, 546, 564)
VIII Enea alto da poppa risponde a Pallante, un ramo d’ulivo
in segno di pace tendendo…
Enea al re si rivolge con amiche parole:
“O… tu cui Fortuna ha voluto ch’io volga preghiere
e adornati di bende io ti porga questi rami d’ulivo.
(Ibid., VIII vv. 115-116, 126-128, p. 576)
XI E già da Laurento con rami d’ulivo eran giunti
messi (oratores) per chiedere grazia ad Enea: i corpi rendesse
abbattuti dal ferro sui campi e lasciasse
condurli al sepolcro: non c’è guerra coi morti;
pensasse che furono un giorno suoi ospiti, e suoceri quasi…
“Cento legati, tra i primi del Lazio,
rechin l’offerta coi rami d’ulivo e sanciscano il patto”.
(Ibid., XI vv. 100-105, 331-332, pp. 714, 726)
XII Era ivi per caso cresciuto un amaro oleastro
a Fauno devoto, albero sacro a quanti scampati dal mare
solevano apporvi le vesti per dono al Nume Laurente.
(Ibid., XII vv. 766-769, p.800)
QUINTO ORAZIO FLACCO (65 – 8 a.C.)
VERSO UNA NUOVA PATRIA
Ci chiama il circonfuso Oceano! Ai campi beati
moviamo, ai campi e alle Isole Felici,
ove inarata, ogni anno la terra produce i suoi frutti,
e non potata prospera la vite,
e non fallaci mai germogliano i rami d’ulivo
(numquam fallentis termes olivae). (Guido Vitali)
(Orazio, Epodi, XVI vv. 41-45, da “Orfeo”, Firenze, 1950, p.142)
A SETTIMIO
Più di ogni altro mi sorride quell’angolo di terra (alle sorgenti del Galeso),
dove il miele non teme il confronto con quello dell’Imetto (monte dell’Attica)
e il verde olio d’oliva e pari a quello di Venafro.
(Orazio, Carminum II 6, vv. 13-16)
AD APOLLO
Mi sazio di olive,
di cicorie e di malve leggere.
(Orazio, Carminum I 31, vv. 16-17)
ALBIO TIBULLO (55/50 – 19/18 a. C.)
IN TERRE SCONOSCIUTE
Ma tu Delia conservati pura, ti prego,
e, custode del tuo casto pudore,
ti sieda sempre vicino una vecchia premurosa,
che, raccontandoti favole, alla luce della lucerna,
tragga dalla gonfia conocchia
l’interminabile suo filo, finchè accanto la giovane,
al suo compito faticoso intenta,
non sia vinta dal sonno a poco a poco
e lasci in terra cadere il lavoro.
A quel punto vorrei d’improvviso arrivare.
(A. Tibullo, Elegie, Milano, 1988, I 3, vv. 83-89, p.24)
I RITI DELLA CAMPAGNA
La castità piace agli dèi;
e dunque con vesti pure venite,
con mani pure attingete acqua di fonte
Osservate come l’agnello consacrato
si avvia all’altare sfolgorante di luce,
seguito da una folla vestita di bianco e
con le chiome cinte d’ulivo.
(Ibid., Ill, vv. 13-16, p. 78)
SESTO PROPERZIO (47 ca. – 15 ca. a.C.)
ELEGIA XV
Oh me felice, o notte per me splendida,
o dolce letto reso beato dalla mia delizia!
Quante parole ci siamo detti distesi accanto alla lucerna,
e quante battaglie d’ amore abbiamo ingaggiato,
allontanato il lume.
(S.Properzio, Elegie, Milano, 1987, 1115, vv. 1-4, p.180)
ELEGIA XVII
Coperto il collo splendente da sciolti tralci d’edera,
Bassareo (Bacco) avrà suIle chionie la mitra di Lidia,
Ie terse spalle emaneranno profumo d’ulivo
e Ia veste fluente sfiorerà i nudi piedi.
(S.Properzio, Elegia, III 17, vv. 29-32)
PUBLIO OVIDIO NASONE (43 a.C – 17/18 d.C.)
TRISTIA
Esiliato nell’8 d.c., quando
già la canizie, fuggiti via gli anni migliori,
era giunta a mescolarsi alle mie chiome d’un tempo;
e, dopo Ia mia nascita, il cavaliere vincitore, cinto
dell’ulivo di Pisa, aveva strappato dieci volte il premio,
quando l’ira del principe offeso mi ordina di raggiungere
Tomi situata sulla riva sinistra del mare Eusino.
(Ovidio, Tristia, Milano, 1991, IV 10, vv. 93-98, p.162)
ARS AMATORIA
(Ovidio, L’Arte di Amare, Milano, 1987, I vv. 721-727, p.158)
A chi naviga il mare non s’addice
la pelle bianca, ma sul volto mostri
i riflessi dell’onda e il vivo sole;
così colui che con l’aratro adunco
e col pesante rastro all’aria aperta
volta le zolle e rompe; e neppur tu
dovrai mostrare candida le pelle,
tu che nel Campo cerchi con la lotta
la corona palladia. Ma l’amante,
ogni amante sia pallido.
(La corona d’ulivo – l’albero sacro a Pallade – che si dava in premio ai vincitori delle gare atletiche)
Sono le donne
cosí diverse! Voglio dirti ancora:
a mille cuori giungi in mille modi.
Così la zolla non produce sempre
lo stesso frutto: questa dà la vite,
questa l’oliva; qui verdeggia al sole
alto il frumento. Tanti sono i volti
quanto nel mondo son diversi i cuori.
(Ovidio, L’Arte di Amare, Milano, 1987, Ivy. 753-757, p.162)
Quante sull’Athos vagano le lepri
e in Ibla l’api a chieder miele ai fiori,
quante sono le bacche al chiaro ulivo
ed agli scogli avvinte le conchiglie,
altrettanti in amor sono i dolori.
(Ibid., 1987,11 vv. 517-519, p.210)
LE METAMORFOSI
Pallade – Atena ricama; con filamenti d’oro disegna sulla tela la celebre vicenda che la rese protettrice di Atene e dell’Attica:
“Pallade istoria la vetta rocciosa di Marte sulla rocca cecropia e la vetusta contesa sul nome della terra. Dodici numi celesti, con Giove nel mezzo, siedono su alti scanni con augusta imponenza: il proprio aspetto rende riconoscibile, come se vi fosse scritto, ciascuno degli dèi: la figura di Giove ha maestà regale. Pallade raffigura il dio del mare eretto, mentre colpisce la solida roccia col lungo tridente: ed ecco, dal centro della roccia colpita, zampillare acqua marina: un pegno per cui a sé rivendica la città. Ma a sé Pallade attribuisce lo scudo, l’asta dalla pungente cuspide, l’elmo per il capo, il petto difeso dall’egida; e rappresenta come la terra, percossa dalla sua asta, produce con bacche l’albero del pallido ulivo, mentre gli dèi se ne stanno ammirati:
Ia Vittoria conclude il lavoro”.
(Ovidio, Le Metamorfosi, Milano, 1988, VI vv. 70-82, p.298)
VALERIO MASSIM0 (forse 15 a.C. – forse 35 d.C.)
Fu ad Atene che venne per la prima volta introdotta l’usanza di premiare con una corona i buoni cittadini, e, con due rametti di ulivo intrecciati, fu cinto il capo di Pericle: istituzione degna d’essere imitata sia che si consideri l’atto, sia la persona. Giacché l’onore è l’alimento più fecondo della virtù e Pericle era ben degno di dare un magnifico inizio a tale genere di ricompensa.
(Valerio Massimo, Fatti e Detti Memorabili, Milano, 1972, II 6, 5; p.85)
MARCO VALERIO MARZIALE (40 ca. – 103/104)
CARMINA NON DANT PANEM
L’albero di Pallade piega sotto il peso dei neri frutti
la chioma di diverso colore.
(Marziale, Epigrammi, Milano, 1988,176 vv. 7-8, p.20)
E’ PIU LUCROSO FARE L’AVVOCATO CHE IL POETA
Se volessi difendere il tempio di Saturno (fare l’avvocato)…
più di un marinaio mi farebbe avere anfore piene d’olio di Spagna
e la mia tunica si sporcherebbe per le molte monete.
(Ibid.,Vl 6vv. 6-8, p.104)
UN FALSO FRATELLO
Perché, Carmenione, che ti dici cittadino di Corinto, vai dicendo che sono tuo fratello, io che vengo dai Celti e dagli Iberi?… Tu vai in giro con le tue unte chiome arricciate, io con i miei ruvidi capelli da spagnolo; tu tutto liscio perché quotidianamente ti depili, io con le gambe e le guance irsute; tu parli con voce flebile, affettata, io con voce forte, se occorre, stentorea… Smettila di chiamarmi fratello, se no, Carmenione, ti chiamerò sorella.
(Ibid.,X65vv. 1-4,6-11, l4.-lS, p.226)
LA METAMORFOSI DI APRO
Quando uno schiavetto con le gambe storte gli portava gli asciugamani…
e un inserviente sofferente d’ernia gli versava solo una goccia d’olio,
Apro era un austero e accanito censore degli ubriachi…
Arrichitosi, non riesce ad allontanarsi sobrio dalle terme…e quanto son diventati importanti le sue coppe tornite e i suoi cinque schiavi dai lunghi capelli.
(Ibid., XII 70 vv. 1-4 e 8-9, p.282)
LUCERNA PER LA CAMERA DA LETTO
Sono una lucerna complice delle dolcezze del tuo letto:
qualunque cosa tu voglia fare, puoi farla. lo non parlerò.
(Ibid., XIV 39 vv. 1-2, p.296)
DECIMO GIUNIO GIOVENALE (50/60 – 135/140)
SATIRA III
Non conta proprio più nulla che la nostra infanzia abbia respirato l’aria dell’Aventino e si sia nutrita di olive sabine?
In casa la famiglia lava i piatti tranquillamente, rianima il fuoco soffiandoci sopra, fa risuonare gli unti strigili e, riempita la boccetta dell’olio, mette in ordine i lini.
(Giovenale, Satire, Milano, 1989, III vv. 84-85, 261-263, pp. 72 e 82)
SATIRA VI
Non sa più distinguere l’inguine dalla bocca colei (l’etera) che, nel colmo della notte, morde grandi ostriche, quando spumeggiano i profumi profusi nel puro Falerno, quando si tracanna dalle conchiglie e il soffitto ondeggia nell’ebbrezza e sulle mense paiono doppie le lucerne.
Ma chi custodirà poi i custodi? Mia moglie è abile e comincia proprio da quelli… Ogulnia poi dona tutto ciò che le rimane dell’argento paterno e l’ultimo vasellame della casa agli unti atleti.
(Ibid., VI vy. 301-305, 347-348, 355-356, pp. 128 e 130)
SATIRA XI
II mio schiavetto disadorno, ma ben protetto dal freddo, non viene dalla Frigia o dalla Licia, non è stato comprato al mercato; ma – e questo è importante – quando devi chiedergli qualcosa, chiedigliela in latino!…
Non va rauco ai bagni a mettere in mostra testicoli grossi come un pugno, non si è mai fatto depilare le ascelle, e non si copre vergognoso il membro troppo grosso, dietro la brocca dell’olio.
(Ibid., XI vy. 146-148, 156-158, p.224)
SATIRA XIII
Lada (atleta greco vincitore nelle corse) in miseria com’è, non esita ad augurarsi la podagra, che è una malattia da ricchi… che vantaggio ha infatti di potersi gloriare del suo piede veloce o del ramo dell’ulivo di Pisa, quando poi patisce la fame?
(Ibid., XIII vv. 96-99, p.242)
PETRONIO ARBITRO (forse dell’età neroniana – I sec. d.c.)
Racconta Encolpio, studente squattrinato, che in casa di una dama, finta malata, lui e il suo amico Ascilto furono sottoposti a violenze erotiche. Dopo
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entrarono i maestri di palestra che, a forza di frizioni con abbondante olio d’oliva, ci rimisero in piedi.
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Anche le lampade, ormai allo stremo, mandavano un debole e tremante chiarore… Ma il maestro di sala, balzato in piedi, aveva già messo nuovo olio nelle lucerne.
Encolpio e Ascilto sono invitati da Trimalchione:
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Nell’anticamera del triclinio… “A Gaio Pompeo Trimaichione seviro augustale il suo tesoriere Cinnamo”. Su questa dedica pendeva dal soffitto una lampada a due becchi (lucerna bilychnis).
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Nel mezzo del vassoio degli antipasti si levava un asinello di bronzo corinzio con due bisacce piene, l’una, di olive bianche, l’ altra, di olive nere.
Dai discorsi tenuti durante il pranzo:
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“Norbano? Ci ha dato uno spettacolo di gladiatori da tre soldi, così vecchi che li avresti buttati a terra con un soffio…
I cavalieri, che ha mandato a farsi ammazzare, sembravano mostriciattoli che si vedono sulle lucerne con la fiamma in bocca”.
Nel clima del pranzo ormai surriscaldato:
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Cominciavo già a veder doppio il numero delle lampade…
Nel trambusto… un candelabro si rovesciò sulla mensa mandando in frantumi tutte le vetrerie e facendo schizzare olio bollente addosso ad alcuni convitati.
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Fecero portare in giro un bacile pieno di olive farcite, e avreste dovuto vedere come certi villanacci si sono buttati addosso allontanando gli altri a gomitate.
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Mi vergogno a raccontare quelbo che seguì: in barba a ogni onesta consuetudine, dei ragazzi dalle lunghe chiome portarono unguenti in un bacino d’angento e unsero i piedi dei convitati dopo aver loro inghirlandato di fiori le gambe dal ginocchio al tallone. Poi versarono parte di quell’unguento nei vasi da vino e nelle lucerne.
Trimalchione, dopo una sfuriata, si calma e ricorda:
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“Quando venni dall’Asia ero alto come un candelabro; ogni giorno mi ci misuravo, e, per farmi crescere più presto la barba, mi ungevo le labbra con l’olio delle lucerne”.
I due amici, imbarcatisi, scoprono che i proprietari della nave, Lica di Taranto e Trifena, cono loro ostili; ne nasce una rissa che viene piacata da Trifena che, in segno di pace:
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data e ricevuta la sacra parola secondo il patrio costume, protende un ramo d’ulivo tolto al nume tutelare della nave.
(Petronio Anbitro, Satyricon, Milano, 1988)
LUCIO APULEIO (125 ca. – 170/180)
L’ASINO D’0RO
Il giovane Lucio è ospitato dall’usuraio Milone che dice alla sua servetta:
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22 “Fotide, prendi i bagagli dell’ospite… e tira fuori dall’armadio l’olio per ungersi, i panni per asciugarsi, insomma tutto l’occorrente e accompagna il signore alle terme qui vicino”.
Lucio dice a Fotide, diventata sua amante:
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11 “Queste sono le provviste che occorrono per una notte d’olio alla lucerna e vino nei calici”.
Avido d’esperienze, trovandosi in Tessaglia, terra di magie, si offre di fare la guardia ad un morto e chiede:
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24 “Una lucerna bella grande, con olio a sufficienza fino a domani mattina, dell’acqua calda, un fiaschetto di vino e un vassoio con il resto della cena”.
Per magia, trasformato in asino, dopo varie peripezie, dovrebbe esibirsi, in un connubio vergognoso, a teatro, ma riesce a fuggire mentre sulla scena si esibiscono gli dèi, tra cui:
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30 era Minerva e aveva un elmo scintillante in capo e sull’elmo una corona d’ulivo.
(Apuleio, L’Asino d’Oro, Milano, 1985)