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MILLE E UNA NOTTE – XV-XVIII sec.

 

MILLE E UNA NOTTE – XV-XVIII sec.

ma risalente, come nucleo originario al IX sec. –

STORIA DI ALl COGIA, MERCANTE DI BAGDAD

Sotto il regno del califfo Harun-al-Rashid, disse la sultana Sherazad, vi­veva a Bagdad un mercante chiamato Alì Cogia, che non era fra i più ricchi, ma neppure fra i più poveri; egli abitava nella casa paterna senza moglie e senza figli. Mentre, libero delle sue azioni, viveva contento di ciò che gli procurava il suo commercio, egli fece per tre giorni di seguito un sogno in cui gli apparve un vecchio venerando dallo sguardo severo, che lo rimprove­rava perché non aveva ancora compiuto il pellegrinaggio alla Mecca.

Questo sogno turbò All Cogia e lo mise in un grande imbarazzo. Da buon musulmano, non ignorava l’obbligo di dover fare questo pellegrinaggio; ma poiché doveva occuparsi di una casa, di mobili e di una bottega, aveva sem­pre pensato che questi fossero dei motivi abbastanza importanti da esserne dispensato, e cercava di supplirvi con elemosine e altre opere buone. Ma, dopo il sogno, la sua coscienza lo pungeva così vivamente, che il timore che gli capitasse qualche disgrazia gli fece risolvere di non rimandare più il suo pellegrinaggio.

Per essere in grado di compierlo in quello stesso anno, All Cogia comin­ciò a vendere i suoi mobili; vendette successivamente la sua bottega e la maggior parte delle mercanzie di cui era fornita, conservando quelle che avrebbe potuto smerciare alla Mecca; e, in quanto alla casa, trovò un inquili­no che la prese in affitto. Predisposti così i suoi affari, era pronto a partire quando la carovana di Bagdad si sarebbe messa in cammino per la Mecca.

Gli restava soltanto da mettere al sicuro una somma di mille monete d’oro, che gli sarebbe stata d’imbarazzo durante il pellegrinaggio; infatti portava con sé soltanto il denaro necessario per le sue spese e altre necessità.

All Cogia scelse un vaso di capacità conveniente; vi mise le mille monete d’oro e finì di riempirlo con olive. Dopo aver chiuso il vaso lo porta da un mercante suo amico, e gli dice:

“Fratello, voi non ignorate che fra pochi giorni parto come pellegrino con la carovana per la Mecca; vi chiedo il piacere di volermi custodire questo vaso di olive, e di conservarlo fino al mio ritorno”.

Il mercante gli rispose gentilmente:

“Prendete, questa è Ia chiave del mio deposito; portateci voi stesso il vaso e mettetelo dove volete; vi assicuro che lo ritroverete”.

Giunto il giorno della partenza della carovana, All Cogia prese un cam­mello sul quale compiere il viaggio, lo caricò delle mercanzie che aveva scelto e si unì ad essa.

Arrivato felicemente alla Mecca, visitò con tutti gli al­tri pellegrini il tempio così famoso e così frequentato ogni anno da tutte le popolazioni musulmane, che vi affluiscono da tutti i paesi della terra in cui sono sparse, osservando con molto zelo le cerimonie religiose prescritte. Quando ebbe compiuto i doveri del suo pellegrinaggio, espose le merci che aveva portato per venderle o per scambiarle…

 

(Continuò poi a vendere le sue mercanzie in altre città come al Cairo, a Damasco, ad Aleppo, a Mosul ed arrivò persino nelle Indie).

 

Erano oramai passati sette anni quando egli risolse finalmente di tornare a Bagdad.

E, fino ad allora, I’amico cui aveva affidato il vaso di olive prima della partenza perché glielo conservasse, non aveva pensato né a lui né al vaso…

Ma una sera l’amico mercante prende il vaso, l’apre, e vede le olive tutte marcite. Per accertarsi se quelle che si trovano più sotto siano anch’esse marce come quelle in superficie, ne versa nel piatto e, per scossa data all’uo­po, vi cadono, con rumore, alcune monete d’oro.

Alla vista di quelle monete, il mercante, avido e cauto per natura, guarda nel vaso e si accorge di aver versato quasi tutte le olive nel piatto: tutto il re­sto è oro in moneta sonante. Rimette nel vaso le olive versate…

Passò quasi l’intera notte a pensare come si sarebbe potuto appropriare dell’oro di All Cogia, e fare in modo che restasse a lui, nel caso egli fosse tomato a richiedergli il vaso.

Il giomo dopo, all’alba, va a comprare le olive di stagione; ritorna, getta via quelle vecchie dal vaso di All Cogia, prende l’oro, e lo mette al sicuro; e, dopo aver riempito il vaso con le olive appena comprate, e nichiude con lo stesso coperchio, e lo rimette nel medesimo posto in cui I’aveva messo All Cogia.

Circa un mese dopo che il mercante aveva commesso un’azione così vile e che doveva costargli cara, All Cogia, di ritomo dal suo viaggio, arrivò a Bagdad…

Il giorno dopo, All Cogia andò a trovare il mercante suo amico, che lo ac­colse abbracciandolo…

All Cogia pregò il mercante di volergli restituire il vaso di olive che gli ave­va affidato e di scusarlo della libertà che si era preso recandogli questo disturbo.

“All Cogia, caro amico mio, – rispose il mercante – . . . ecco la chiave del mio deposito: andate a prenderlo, lo troverete nello stesso posto in cui l’ave­te messo”.

All Cogia andò nel deposito del mercante, e prese il vaso; dopo avergli restituito la chiave e averlo molto ringraziato per la sua gentilezza, ritornò a casa… e rovesciò tutto il vaso di olive, senza trovarvi una sola moneta d’oro. Restò immobile per lo stupore; e, alzando gli occhi e le mani al cielo, esclamò:

“E’ mai possibile che un uomo che consideravo un così buon amico mi abbia ingannato in questo modo!”

All Cogia, assai preoccupato per il timbre di aver subito una perdita così considerevole, ritornò dal mercante…

Il mercante ammise di aver conservato il vaso di All Cogia nel suo depo­sito; ma negò di averbo toccato e giurò che sapeva che vi erano delle olive soltanto perché All Cogia glielo aveva detto; soggiunse che chiamava tutti a testimoni dell’affronto e dell’insulto che All Cogia gli aveva fatto, e per di più in casa sua.

“L’ avete provocato voi questo affronto, – disse albora All Cogia, prenden­do il mercante per il braccio, – ma, poiché vi comportate cosí male, vi cito di fronte al tribunale di Dio: vediamo se avrete la sfrontatezza di dire la stessa cosa davanti al cadì”.

A questa intimidazione, cui ogni buon musulmano deve ubbidire a meno di non ribellarsi alla sua religione, il mercante non ebbe l’ardire di opporre resistenza…

All Cogia condusse il mcrcante davanti al tribunale del cadì, e qui l’accu­sò di avergli rubato mille monete d’oro lasciategli in deposito, esponendo il fatto nel modo che abbiamo detto. Il cadì gli domandò se avesse dei testimo­ni.

Egli rispose che non aveva preso questa precauzione, perché aveva credu­to che colui al quabe affidava il vaso fosse suo amico, e perché fino ad allora l’aveva conosciuto come un uomo onesto.

Il mercante, a sua difesa, disse le stesse cose che aveva già detto ad All Cogia e in presenza dei vicini; e terminò affermando di esser pronto a giura­re non soltanto di non aver preso le mille monete d’oro, come, lo si accusa­va, ma anche di non conoscerne affatto l’esistenza.

ll cadì pretese il suo giuramento; dopo di che lo assolse.

All Cogia, grandemente mortificato di vedersi condannato a una perdita così considerevole, protestò contro Ia sentenza, dichiarando ad cadì che sa­rebbe ricorso al cabiffo Harun-al-Rashid, che gli avrebbe reso giustizia. E inoltrò una petizione al califfo…

La sera dello stesso giorno, il califfo con il gran visir Giafar e Mesrur, capo degli eunuchi, ambedue travestiti come lui, andò a fare il suo giro per la città…

Passando per una strada, il califfo intese del chiasso; affrettò il passo e ar­rivò a una porta che si apriva su un cortile: lì dieci o dodici bambini, che non erano ancora andati a letto, giocavano al chiar di luna; della qual cosa egli si accorse guardando da una fessura.

Il califfo, curioso di sapere che giuoco i bambini facessero, si sedette su una panca di pietra che si trovava opportunamente accanto alla porta; e, con­tinuando a guardare dalla fessura, intese uno dei bambini, il più vivace e sve­glio di tutti, dire agli altri:

“Giochiamo al cadì. Io sono il cadì: conducetemi All Cogia e il mercante che gli ha rubato mille monete d’oro”.

Alle parole del bambino, il califfo si ricordò della petizione che gli era stata presentata quello stesso giorno e che aveva letto; e ciò fece aumentare la sua attenzione volendo conoscere l’esito del giudizio.

Alla fine del minu­zioso processo tenuto per gioco, il ragazzo che sosteneva il ruolo del cadì sentenziò che il mercante doveva essere impiccato…

– Osserva bene questa casa, – disse il califfo al gran visir, – e domani por­tami il bambino, in modo che giudichi la questione in mia presenza. Fai chia­mare anche il cadì che ha mandato assolto il mercante ladro, affinché ap­prenda il suo dovere dall’esempio di un ragazzo, e si corregga. Voglio anche che tu abbia cura di avvertire All Cogia che porti con se il vaso delle olive, e che due mercanti di olive siano presenti alla mia udienza”.

ll califfo gli diede quest’ordine continuando il suo giro, che terminò senza incontrare altre cose che meritassero la sua attenzione.

Il giorno dopo, il gran visir Giafar andò nella casa dove il califfo aveva assistito al giuoco dei bambini,… rassicurò la madre del ragazzo promettendo­le che egli sarebbe tornato a casa in meno di un’ora, e ch’ella avrebbe appreso, al suo ritomo, il motivo per cui era stato chiamato, e ne sarebbe stata contenta…

Il    gran visir presentò il bambino ad califfo all’ora in cui egli aveva accordato udienza ad All Cogia e al mercante.

II   califfo, vedendo il bambino titubante e volendo prepararlo a quel che si aspettava da lui, gli disse:

– Vieni figlio mio, avvicinati. Sei tu che ieri giudicasti la questione di All Cogia e del mercante che gli ha rubato il suo oro? Ti ho visto e ti ho inteso:

sono assai contento di te -. Ii bambino non si turbò; rispose con modestia che era Stato lui. – Figlio mio, – disse allora il califfo, – voglio mostrarti oggi il vero All Cogia e ll vero mercante. Vieni a sederti accanto a me -.

Allora il califfo prese il bambino per mano, salì e si sedette sul trono; e, quando l’ebbe fatto sedere accanto a sé, domandò dove fossero i litiganti. Li fecero venire avanti e li presentarono al califfo, mentre essi si prosternavano, toccando con la fronte il tappeto che ricopriva il trono. Quando si furono rialzati, il califfo disse loro:

“Perorate ciascuno la vostra causa; il bambino che è qui vi ascolterà e vi renderà giustizia; e, se sbaglia in qualche cosa, provvederò io”.

All Cogia e il mercante parlarono l’uno dopo l’altro; e, quando il mercan­te chiese di poter fare lo stesso giuramento che aveva fatto nel corso del pri­mo giudizio, il bambino disse che era ancora presto, e che prima era necessa­rio vedere il vaso di olive.

A queste parole, All Cogia mostrò il vaso, lo pose ai piedi del califfo e gli tolse il coperchio.

Il califfo guardò le olive, ne prese una e l’assaggiò. Il vaso fu fatto esaminare dai mercanti di olive che erano stati convocati; essi rispo­sero che le olive erano buone e dell’annata.

Ii bambino disse loro che All Cogia assicurava che vi erano state messe sette anni prima; al che essi dette­no la stessa risposta che avevano dato i bambini finti mercanti esperti.

Allora, sebbene comprendesse che i due esperti mercanti avevano pro­nunziato la sua condanna, il mercante accusato volle tuttavia allegare qualco­sa per giustificarsi.

Ma il bambino si guardò bene dal mandarlo all’impicca­gione; si rivolse al cabiffo e gli disse:

“Principe dei credenti, questo non è un giuoco: tocca a Vostra Maestà condannare per davvero a morte, e non a me, che ieri l’ho fatto soltanto per scherzo”.

 

Il califfo, pienamente convinto della malafede del mercante, lo affidò agli esecutori della giustizia per farlo impiccare; la qual cosa fu eseguita, dopo che egli ebbe dichiarato dove aveva nascosto le mille monete d’oro, che fu­rono restituite ad All Cogia.

Infine, questo monarca pieno di giustizia e di equità, dopo aver sollecitato il cadì, che aveva emesso il primo giudizio e che era presente, a imparare da un bambino a essere più coscienzioso nell’esercizio delle sue funzioni, abbracciò il bambino e lo rimandò a casa con una borsa con cento monete d’oro, che gli fece dare in segno della sua liberalità.

 

Viene tralasciata la “Storia di Aladino o della lampada meravigliosa “, perché la lam­pada della fiaba è tale solo nell’aspetto, in realtà si tratta di un arnese che, sfregato, rie­sce a far comparire un servizievole spirito in grado di far magie ed incantesimi.

 

STORIA DI ALI’ BABA E DI QUARANTA LADRI STERMINATI DA UNA SCHIAVA

Un giorno Alì Babà, andato a far legna nella foresta, s’imbatté in uno squadrone di cavalieri, 40 in tutto, dall’aspetto poco rassicurante, anzi da ladri. Per sfuggire loro salì su un albero, e da lassù li vide entrare ed uscire, attraverso una porta nascosta dagli arbusti, in una grotta. La porta si apriva e si chiudeva al magico suono delie parole “Apriti sesamo” e “Chiuditi sesamo “. Finalmente i brutti ceffi rimontarono a cavallo e si allontanarono.

Quando Alì Babà si raSsicurò che non sarebbero tornati indietro, caricò i suoi tre asini, unica sua proprietà, con i tesori prelevati dalla grotta.

(La storia si complica con l’ingerenza del fratello di Alì che, avido di de­nan, ritenta, malauguratamente per lui, l’impresa del fratello e viene am­mazzato dai ladri i quali escogitano un trucco per ammazzare anche Alì Babà).

 

II capo dei ladri spiegò ai suoi compagni il modo in cui voleva che si agisse; e poiché tutti diedero la loro approvazione, li incanicò di sparpagliarsi nei borghi e nei villaggi dei dintorni e anche nelle città, di comprare muli, fino a un massimo di diciannove, e trentotto grossi otri di cuoio per il tra­sporto dell’olio, uno pieno e gli altri vuoti.

In due o tre giorni, i ladri si procurarono tutta questa roba. Poiché gli otri vuoti avevano Ie imboccature un po’ strette per l’esecuzione del progetto, il capo le fece allargare; e, dopo aver fatto entrare in ognuno uno dei suoi uo­mini, con le armi che aveva giudicato necessarie, lasciando aperta la parte che aveva fatto scucire per lasciarli respirare liberamente, chiuse gli otri in modo che sembrassero pieni d’olio; e, per mascherarli meglio, li unse al­l’esterno con l’olio preso dall’otre che ne era pieno.

Disposte così le cose, quando i muli furono caricati dei trentasette ladri, eccettuato il capo, ciascuno nascosto in un otre, e dell’otre pieno d’olio, il capo, facendo da mulattiere, si diresse verso la città all’ora che aveva stabili­to, e vi arrivò sul tardi, circa un’ora dopo il tramonto, come si era proposto. Vi entrò, andò direttamente alla casa di Alì Babà, con l’intenzione di bussare alla sua porta e di domandare se, con il permesso del padrone, poteva passare lì la notte con i suoi mull. Non ebbe neanche bisogno di bussare: trovò Alì Babà sulla porta, che prendeva il fresco dopo aver cenato.

Fece fermare i muli, e, rivolgendosi ad Alì Babà, disse:

“Signore, porto quest’olio da molto lontano per venderlo domani al men­cato; e, a quest’ora, non so dove alloggiare. Se ciò non vi disturba, fatemi il piacere di accogliermi in casa vostra per questa notte; ve ne sarò molto grato”.

Sebbene Alì Babà avesse visto nella foresta colui che gli parlava, e aves­se persino inteso la sua voce, come avrebbe potuto riconoscere in lui il capo dei quaranta ladri, travestito com’era da mercante d’olio?

“Siete il benvenuto, – gli disse, – entrate”. Pronunziando queste parole, gli fece posto per lasciarlo entrare con i suoi muli; e quello così fece.

Subito Alì Babà chiamò uno schiavo e gli ordinò di fare scaricare i muli, e, quando i muli fossero stati scaricati, di metterli non soltanto al coperto nella stalla, ma anche di dare loro fieno e orzo. Si prese anche il disturbo di andare in cucina e di ordinare a Morgiana (sua fedele schiava) di approntare subito la cena per l’ospite appena arrivato e di preparargli un letto in una camera…

 

Quello che succede dopo viene raccontato ad Alì Babà da Morgiana:

 

– Signore, ieri sera, quando vi ritiraste per andare a letto, preparai la vo­stra biancheria per il bagno, come mi avevate ordinato, e la consegnai ad Ab­dallà (altro schiavo di Alì) poi misi sul fuoco la pentoba per il brodo; e, men­tre lo schiumavo, la lampada si spense improvvisamente per mancanza d’olio, e non ce n’era più neanche una goccia nel bricco. Cercai qualche moccolo di candela, ma non ne trovai neanche uno, Abdallà, vedendomi in imbarazzo, mi ricordò gli otri pieni d’olio che erano nel cortile; come egli credeva non meno di me, e come anche voi avevate creduto. Presi il bricco e corsi all’otre più vicino.

Ma, appena fui accanto all’otre, ne uscì una voce che mi domandò: “E ora?”. Non mì spaventai; ma comprendendo subito la malizia del falso mercante, risposi senza esitare: “Non ancora, ma presto”. Passai all’otre successivo, e un’altra voce mì fece la stessa domanda alla quale risposi nel medesimo modo. Poi passai agli altri otri, uno dopo l’altro:

a uguale domanda, uguale risposta, e soltanto nell’ultimo otre trovai l’olio con cui riempii il mio bricco. Quando mi fui resa conto che nel vostro cortile vi erano trentasette ladri, i quali per incendiare tutta la vostra casa aspettava­no soltanto un segnale o l’ordine del loro capo, che avevate scambiato per un mercante e a cui avevate fatto una così cortese accoglienza, non persi tempo:

portai indietro il bnicco e riaccesi la lampada; e, dopo aver preso la caldaia più grande della cucina, andai a riempirla d’olio. La misi sul fuoco; e, quan­do l’olio fu bollente, andaì a versarlo in ogni otre in cui vi erano i badri, qu­anto ne era necessario per impedire a tutti di eseguire il funesto disegno che li aveva portati qui. Terminata la cosa nel modo che avevo escogitato, tornai in cucina, spensi la lampada e, prima di coricarmi, mi misi a osservare tran­quillamente dalla finestra quale risoluzione avrebbe preso il falso mercante d’olio. Dopo un po’ di tempo, intesi che, come segnale, gettava dalla finestra delle pietruzze che caddero sugli otri. Ne gettò una seconda e una terza vol­ta; e, poiché non vide né udì alcun movimento, scese in cortile. Lo vidi esa­minare tutti gli otri dal primo all’ultimo.

Dopo, l’oscurità della notte me lo fece perdere di vista. Guardai ancora un po’; e, poiché non tornava, compresi che era fuggito attraverso il giardino, disperato per l’infelice esito della sua impresa. Così, sicura che la casa era salva, mi coricai”.

 

La fiaba continua con il capo dei ladri, unico superstite, che cerca di nuovo d’ammazzare Alì Babà, facendosi da lui ospitare sotto le vesti di un ricco mercante.

Ma Morgiana, accortasi del travestimento, e, a sua volta, travestitasi da danzatrice, accompagnata dal suono del tamburello di Abdallà, esegue, da esperta artista, per intrattenere l’ospite, danze su danze fino ad eseguire quella detta “del pugnale “.

A questo punto, arditamente brandisce il pugna­le e uccide il falso mercante.

Per ringraziarla Alì Babà la libera dalla schiavitù, anzi le dà per marito il proprio figlio che accetta, di buon grado, il volere del padre. E, da allora, vissero tutti felici e contenti, approfittando, ma con moderazione, della loro grande fortuna rappresentata dal tesoro nascosto dei ladri.

 

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