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OCCHIO DI PAVONE – Spilocaea oliaginea

 

Spilocaea oleaginea (Castagne) S. Hughes, 1953 (sin. Cycloconium oleaginum) è un fungo fitopatogeno deuteromicete, agente eziologico dell’Occhio di pavone o vaiuolo o cicloconio dell’olivo.
L’occhio di pavone è una delle più gravi avversità crittogame dell’olivo. È una malattia ad eziologia fungina diffusa, in vario grado, in tutte le aree di coltivazione dell’olivo.

 

E’ la più importante e diffusa malattia fungina dell’olivo e si manifesta in forme più o meno gravi in relazione alla suscettibilità varietale, alle condizioni vegetative delle piante ed alle situazioni pedo-climatiche dell’oliveto. Infatti, le infezioni sono maggiori negli impianti ad alta densità e nelle zone vallive dove si verifica una maggiore persistenza di umidità.

L’occhio di pavone attacca tutti gli organi verdi dell’olivo ma è sulle foglie che le infezioni del fungo esplicano l’azione più dannosa. Sulla pagina superiore delle foglie compaiono delle macchie, dapprima piccole e di colore bruno, che poi, accrescendosi assumono una tonalità grigia al centro e bruno scuro alla periferia; nei periodi più caldi, le singole lesioni si circondano di un alone giallo intenso così da rassomigliare agli occhi delle penne del pavone da cui è derivato il nome della malattia.

In relazione alla entità delle macchie e alla superficie da esse occupata, l’intera foglia tende a ingiallire completamente e a cadere anticipatamente, inducendo grave filloptosi sui rami o l’intera pianta, con conseguente minore funzionalità vegetativa e produttiva.

L’acqua rappresenta l’elemento indispensabile per le infezioni e la diffusione della malattia, che si verificano attraverso i conidi, prodotti sulla superficie delle foglie attaccate e diffusi nell’ambiente attraverso la stessa acqua o il vento e anche tramite insetti presenti nell’ambiente olivicolo.

Per determinare una nuova infezione è necessario che la superficie fogliare sia coperta da un velo d’acqua per parecchie ore. Ciò si verifica sia per le piogge prolungate, sia per la presenza di umidità relativa prossima alla saturazione o per nebbie persistenti.

Le temperature ottimali per le infezioni sono tra i 18-20°C.

Tali condizioni ottimali si verificano essenzialmente nel periodo primaverile e in quello autunnale e, in aree olivicole più meridionali, anche durante il periodo invernale al verificarsi di temperature miti.

Le infezioni primaverili hanno un periodo di incubazione pin lungo (2-3 mesi) rispetto a quelle autunnali : infatti nel periodo estivo è possibile diagnosticare la presenza delle infezioni prima della loro manifestazione evidente sulle foglie con il metodo della “diagnosi precoce”.

Le infezioni autunnali invece si evidenziano in breve tempo 15-20 giorni e sono caratterizzate da macchie più piccole che interessano anche le giovani foglie.

L’inoculo (conidi) per le infezioni primarie proviene principalmente dalle foglie infette che rimangono attaccate su rami durante l’inverno o l’estate.

I conidi, preso contatto con l’ospite, se le condizioni ambientali sono favorevoli, germinano ed emettono un pro-micelio che perfora attivamente la cuticola e poi si diffonde e si sviluppa negli spazi dello spessore sottocuticolare. Questi patogeni vengono chiamati parassiti sub-cuticolari.

La particolare localizzazione del micelio, sub-cuticolare, è dovuta alle particolari condizioni favorevoli incontrate quali: il nutrimento necessario alla sua crescita che ricava dalla degradazione della parete cellulare (cutina, cere, lipidi, cellulosa, pectina) e la protezione da parte della grossa cuticola che lo protegge dalla disidratazione e dalle radiazioni.

Il fungo non riesce a penetrare nel sottostante mesofillo in quanto è ostacolato dalla reazione di difesa antifungina della pianta con accumulo di composti fenolici. (acido elenolico)

A completamento del suo sviluppo sub-cuticolare, il fungo differenzia rami miceliali che fuoriescono dalla cuticola e danno luogo ai nuovi conidiofori che portano conidi bicellulite.

L’aspetto vellutato delle macchie fogliari è dovuto, appunto, alle fruttificazioni del patogeno scallonisi . La durata del periodo di incubazione, dalla penetrazione alla comparsa dei sintomi, è piuttosto variabile: da circa due settimane, se le condizioni sono favorevoli ad alcuni mesi, se dopo l’infezione sopravviene un periodo caldo asciutto (stasi estiva), o freddo (stasi invernale).

I conidi che distaccano dalle ife conidiofori perdono la loro capacità di germinare in pochi giorni.

Ma il fungo continua a produrre facilmente nuovi conidi dalle macchie fogliari soprattutto dopo una pioggia che può corrispondere a un’infezione.

L’acqua di pioggia favorisce il distacco e la disseminazione dei conidi, che riescono poi a germinare purché la superficie fogliare si mantenga bagnata per diverse ore o che l’umidità sia prossima alla saturazione e i livelli termici siano compresi tra 2 e 30 °C con un ottimo fra 18 e 20 °C.

I propaguli del fungo vengono normalmente trasportati dal vento inglobati in goccioline d’acqua, ma anche semplicemente dal vento, oppure disseminati da insetti (Ectopsocus briggsi).

Un aspetto interessate da tenere in considerazione nel controllo della malattia è la mancata possibilità di determinare infezioni da parte di conidi che sono presenti su foglie cadute al suolo.

La malattia si manifesta con la caduta delle foglie che, oltre a ridurre la capacità fotosintetica della pianta, condiziona con gravi squilibri ormonali e nutrizionali la sua successiva evoluzione delle gemme ascellari, impedendo così la produzione di rami a frutto con conseguente riduzione della produzione dell’anno successivo. Inoltre, in conseguenza di ripetuti attacchi di S. oleaginea, la defogliazione porta ad un generale indebolimento della pianta e ad un progressivo disseccamento di una parte dei rami e delle branche. In generale, i danni provocati dalla malattia dipendono dalle condizioni climatiche e dallo stato di suscettibilità delle piante. La suscettibilità delle piante è varia per le diverse cultivar di olivo ed è maggiore nei soggetti già debilitati per altre cause (marciumi radicali, olivi potati male o non potati).

I danni provocati dalle infezioni del fungo vanno valutati in relazione all’entità di attacco.

Infatti, considerando l’elevata quantità di foglie presenti sulla pianta, per percepire e poter valutare un danno produttivo è necessaria una diffusione che interessi almeno il 30% di foglie. In molti casi e in diverse zone, notevole importanza nel contenimento della malattia rivestono gli aspetti agronomici: sistemi di conduzione ad ampio sesto di impianto e con potatura frequente determinano una scarsa incidenza di “occhio di pavone”.

 

Tecniche diagnostiche

Una diagnosi precoce consiste nell’immersione di un campione di foglie in una soluzione al 5% di idrossido di sodio o di potassio per 2-3 minuti a temperatura ambiente per le foglie giovani, a 50 °C per le foglie adulte, che sono sufficienti a far comparire le caratteristiche tacche dell’infezione. Inoltre, le infezioni latenti possono essere visualizzate mediante esposizione delle foglie agli UV, che permettono di evidenziare la fluorescenza prodotta dalle zone infette.

Lotta

I trattamenti a base rameica sono consigliabili nelle annate di “scarica”, in quanto, insieme all’eliminazione dell’inoculo, provocano gravi forme di filloptosi. Si preferiscono gli ossicloruri di rame in quanto più efficaci e, se utile, associabili ad insetticidi. Nelle prevedibili annate di”carica”, invece, occorre sostenere la produzione e quindi non è consigliabile usare prodotti cuprici defoglianti; in tal caso si può ricorrere ad altri fungicidi, come “dodina”, “penconazolo” e “bitertanol”. Forme di lotta biologica, al momento praticabili solo di tipo conservativo, sono possibili attraverso il mantenimento degli equilibri biologici sulla chioma dell’olivo, dove albergano numerosi antagonisti naturali di varia origine. Negli areali ove la coltura si presenta in espansione sarà necessario, assieme all’analisi delle situazioni ambientali, una attenta disamina circa le cultivar da utilizzare. In merito esistono poche informazioni sulle cause di minor suscettibilità che alcune cultivar hanno mostrato (risposte fitoalessiniche, livello di presenza di oleuropeina, caratteristiche istologiche e/o fisiologiche), ma le recenti ricerche nel germoplasma hanno consentito la descrizione del comportamento dei genotipi più diffusi nei confronti di S. oleagina. Da studi condotti in Italia sono emerse interessanti indicazioni circa alcune cultivar meno suscettibili (“Bhandi i Tirana”,    “Carboncella           P.”, “Cassanese”, “Dritta di Moscufo”, “Gentile di Chieti”, “Kalinjot”, “Kokermadh i Berat”, “Leccino” e “Cipressino”).

Scarsa suscettibilità mostrano anche “Ottobratica”, “Zaituna”, “Pisciottana”, “Cellina di Nandò”, “Dolce Agogia”. In Israele è stata sclezionata la cv Maelia 29, usata nei programmi di miglioramento genetico per la sua elevata resistenza.

Il controllo della malattia va effettuato in relazione al grado di infezione riscontrato nell’oliveto nel periodo di fine inverno. Se l’oliveto presenta elevate infezioni bisogna effettuare un intervento prima della ripresa vegetativa. Successivamente, prima della fioritura, quando si sono formati i primi 3-4 nodi fogliari va effettuato un secondo intervento per proteggere la vegetazione che si è appena formata e devitalizzare eventuali conidi presenti sulle foglie.

Le eventuali infezioni che si verificano nel periodo della tarda primavera e che si manifesteranno in settembre, possono essere preventivamente rilevate nei mesi estivi, in laboratorio, con il metodo della “diagnosi precoce”, perché queste sono ancora in forma latente non avendo completato il periodo di incubazione.

In caso di riscontro positivo va programmato un terzo intervento alla comparsa in campo delle macchie sulla pagina superione delle foglie. Tale trattamento ha ho scopo di devitalizzare i conidi che si stanno formando e di proteggere la superficie delle foglie dalle nuove infezioni.

Negli oliveti in cui le infezioni sono di lieve entità il primo intervento è sufficiente iniziare gli interventi in presenza dei primi 3-4 nodi fogliari. Un criterio importante nell’impostazione del controllo della malattia è di mantenere sempre bassa la percentuale di foglie infette, in modo da evitare una rapida diffusione della infezione.

In particolare, è stato verificato che, mantenendo una buona sanità delle piante fino al periodo autunnale, è possibile giungere fino alla primavera successiva con basse percentuali di infezione.

 

Lotta in coltivazione biologica

Oltre all’utilizzo delle cultivar meno suscettibili, alcune operazioni colturali, come la potatura, possono contribuire a ridurre le infezioni in quanto si permette una maggiore aerazione della chioma con conseguente riduzione del tempo di bagnatura delle foglie. I prodotti rameici sono ammessi. E’ bene evitare un eccesso di concimazione azotata.

 

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