
VERTICILLOSI – Verticillium dahliae
Le specie appartenenti a questo genere presentano conidiofori eretti, con ramificazioni disposte in verticilli; all’apice degli ultimi rametti vengono prodotti i conidi unicellulari, che a volte rimangono uniti insieme da una goccia di materiale mucoso.
La “verticilliosi” dell’olivo è presente in molte regioni del Mediterraneo, ma recenti indagini hanno messo in evidenza la sua forte espansione in Italia particolarmente grave appare la situazione in Calabria e Sicilia). Tale forte diffusione del parassita, che interessa maggiormente le giovani piantine ed è favorita dalla accentata suscettibilità di alcune cultivar molto diffuse, è dovuta a varie cause telluriche (terreno infetto trasportato dalle macchine oppure tramite ospiti intermedi come infestanti ed orticole), ma anche alle procedure di propagazione in vivaio, spesso effettuate senza la necessaria attenzione nel prelevamento di marze da piante infette (magari senza sintomatologia evidente).
Il deperimento da tracheoverticilliosi si manifesta con evoluzione cronica (meno grave) su piante adulte, ovvero con evoluzione acuta (sindrome apoplettica) più frequente nelle giovani piantine, dove, nei casi più gravi, possono determinare un esito infausto. Una terza forma di infezione riguarda piante asintomatiche (probabilmente con resistenza di tipo tollerante) che si limitano ad ospitare il fungo nei vasi xilematici.


Figura 3. Verticilliosi su pianta adulta (A) e su pianta giovane (B, forma apoplettica).
Questo fungo è molto diffuso oltre che sull’olivo, anche su numerose piante coltivate, arboree ed erbacce, in quanto è notevolmente polifago.
Il V. dahliae si conserva nel terreno, anche per numerosi anni, sotto forma di microsclerozi o nell’interno di tessuti infetti e, al verificarsi di condizioni favorevoli, penetra nell’interno della pianta attraverso microferite provocate all’apparato radicale, o ferite e lesioni determinate specialmente nella fase di trapianto.
La diffusione avviene attraverso i conidi prodotti daghi stessi microsclerozi o da materiale infetto ad opera dell’acqua di irrigazione o di insetti.
In particolare quando, nelle prime fasi di impianto dell’oliveto, si pratica in consociazione all’oliveto la coltivazione di piante orticole, fortemente suscettibili al fungo (pomodoro, patata, peperone melanzana, ecc), queste ultime costituiscono fonte d’infezione iniziale del terreno con conseguente passaggio nel tempo anche sulle piante di olivo.
Sezionando un ramo interessato dal fungo sono evidenti i vasi legnosi imbruniti, ostruiti da materiale di consistenza gommosa proveniente sia dalla degenerazione delle cellule limitrofe alle trachee, sia dalle parti vegetative e riproduttive del fungo.
Sulla parte esterna dei rami e delle branche interessate, la corteccia può non presentare sintomi appariscenti, ma nei rami giovani (2-3 anni) possono manifestansi striature necrotiche di colore scuro, leggermente depresse, in senso longitudinale, anche per lunghi tratti, dove il legno si presenta imbrunito e la corteccia con alterazione del colore dal violaceo al marrone I casi di infezioni da V. dahliae, sia su piante adulte che piante giovani, risultano sempre più frequenti, specialmente nei nuovi impianti allestiti con genotipi suscettibili al patogeno.
Tecniche diagnostiche
La diagnosi può esplicarsi mediante isolamenti micologici in laboratorio a partire da sezioni di rametti, oppure (preferibilmente) con tecniche molecolari (PCR).
Lotta
La lotta contro questa malattia è molto difficile; si basa essenzialmente su misure preventive che riguardano in primo luogo i vivaisti, i quali devono prelevare le manze da piante certamente sane ed utilizzare terricci non infetti, ma anche gli olivicoltori, che devono evitare consociazioni con solanacee e cucurbitacee, porre la massima attenzione nell’uso dei mezzi agricoli su terreni che possano risultare infetti e ricorrere possibilmente all’irrigazione a goccia, invece che a scorrimento.
La lotta chimica, del tutto inefficace fino a pochi anni orsono, può oggi trovane valida applicazione mediante iniezione al tronco di fosetyl-alluminio (quando tale principio attivo sarà omologato per l’olivo), che permette stabili risanamenti delle piante malate. Anche un altro anticrittogamico (dodina) sempre somministrato con la medesima tecnica di iniezione direttamente nel sistema conduttore della pianta, ha recentemente fornito risultati positivi.
Le acque di vegetazione hanno mostrato capacità di inibizione dello sviluppo del micelio, per il momento solo in “vitro” su isolati colturali, ma con possibilità applicative soprattutto per la riduzione dell’inoculo nel terreno.
Lotta in coltivazione biologica
Fra le possibili modalità di lotta sono da ricordare la solarizzazione ed un’altra tecnica che consiste nell’incorporare nel terreno cospicue quantità di segatura di legno, quest’ultima accreditata di azione antagonista al micromicete. Per una lotta biologica, l’impiego dell’ascomicete Talaromyces flavus (Khocker) sembra avere qualche efficacia quale distruttore dei microsclerozi nel suolo, con un’azione parassitaria o enzimatica. Come nelle precedenti patologie, anche in questo caso si ritiene che il contenimento di questo patogeno debba essere affrontato attraverso la ricerca di fonti di resistenza genetica, perciò occorre privilegiare l’impiego di cultivar a bassa suscettibilità (Coratina, Frantoio, Urano, Arbequina, Arbosana) piuttosto che altre molto suscettibili (Leccino, Ascolana, S.Agostino).